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Il primato della politica

C’è un nesso fondamentale fra lo sviluppo dei popoli e il tema della promozione umana. L’uomo è l’autore, il centro e il fine di tutta l’economia sociale. Lo sviluppo autentico è quello capace di promuovere la persona. In quest’ultimo decennio, anche per effetto di una sorta di pensiero unico strisciante, abbiamo distrutto la voglia di progettare, di fare, di usare la mente e il lavoro per creare qualcosa di davvero utile. Il declino della società moderna nasce anche da questa evidente patologia. Non è solo scaturito dal deteriorarsi del quadro economico. È prioritario, dunque, tornare a uno sviluppo basato sulla produzione, su ciò che ogni popolo può dare di meglio, frutto della propria intelligenza, più che di un apparato di mercato estero diretto.
 
Ri-orientare l’economia al bene comune deve essere la missione e il ruolo di tutte le istituzioni civili e sociali che convivono oggi in un mondo globalizzato. In tale ottica, anche la politica deve tornare ad esprimere capacità progettuale, di mediazione, obiettivi condivisi. Solo così può realizzare gli interessi generali e il bene comune. Ed è in questo senso che concretamente possiamo e dobbiamo fare molto noi cattolici; ciascuno nella sua realtà e per le proprie responsabilità. Ci ispira una concezione della società e dello Stato, della politica e della democrazia, fondata sul primato della persona e delle sue proiezioni sociali, che non si identificano con lo Stato, ma che lo Stato e la politica devono riconoscere e tutelare come fonte originaria dell’ordine e del divenire, libero e autonomo, della vita sociale.
 
Il bipolarismo di questi anni, che si è espresso in continue delegittimazioni, prevaricazioni, intolleranze reciproche, ha portato ad un degrado della vita politica, con la mortificazione del suo ruolo di progetto, di proposta, di ricerca del confronto, di moderazione e di mediazione. Non si sono fatte quelle riforme in grado di dare senso, trasparenza programmatica e vitalità allo stesso bipolarismo. È stata messa in crisi la democrazia partecipativa, avendo sottratto ai cittadini anche il diritto di scegliere chi li deve rappresentare in Parlamento. Ecco perché per risalire la china della crisi occorre ricostruire innanzitutto un “capitale sociale” di fiducia che può venire soltanto dalla valorizzazione di una diffusa partecipazione democratica dei cittadini e delle loro organizzazioni.
 
Il Forum delle persone e delle associazioni di ispirazione cattolica nel mondo del lavoro è nato proprio con questo obiettivo: ci sentiamo chiamati a portare la nostra responsabilità e i contenuti della dottrina sociale della Chiesa nel mondo del lavoro affinché non abbia a prevalere nel contesto pubblico, e in particolare tra i giovani, la rassegnazione e non si manifesti una generica contestazione, senza contenuti e proposte praticabili di cambiamento. Occorre assumere un atteggiamento positivo nei confronti del futuro. I principi a cui ci ispiriamo e le nostre tradizioni possono fare molto per rigenerare la politica e rinnovare la società italiana. Occorre una testimonianza forte di valori, la formazione di una nuova classe dirigente per promuovere una politica in grado di misurarsi con i problemi concreti della realtà, di diventare progetto di cambiamento, di promuovere libertà e responsabilità, giustizia e solidarietà, il consenso della partecipazione dei cittadini.
 
Oggi la politica non vuole assumersi le proprie responsabilità. Lottizzazioni nelle aziende pubbliche, sprechi da parte di Regioni, Province, Comuni e comunità montane, privilegi anacronistici: i costi della politica sono degni dei lussi delle antiche corti imperiali. Ci sono troppi livelli amministrativi, duplicazioni di Enti, una pletora di incarichi pubblici. Non si tratta di fare del facile moralismo o peggio del qualunquismo, fine a se stesso. Ma è lecito domandarsi: come si può discutere di innalzare l’età pensionabile o modificare i coefficienti di calcolo della pensione, quando ci sono “caste” di privilegiati, che vanno in pensione a cinquanta anni con il 100% dell’ultimo stipendio? Come si possono chiedere ulteriori sacrifici ai lavoratori quando ci sono ben 160mila consulenti nei palazzi della politica, alcuni dei quali costano all’erario un milione di euro all’anno? I cittadini sono stanchi di questo sistema schizofrenico ed autoreferenziale. La politica deve tornare a parlare il linguaggio della gente. Prima lo fa, meglio è per il Paese.
 
Oggi c’è troppa distanza dai problemi concreti delle persone, delle famiglie, degli anziani, dei giovani, dei deboli. C’è una pericolosa contiguità con i poteri economici forti, che controllano praticamente tutti i mass-media. Il paradosso è che il sistema bipolare ha prodotto una moltiplicazione dei partiti e del ceto politico. Ma ha aggravato il distacco con la società civile. I collegi uninominali, e soprattutto l’abolizione del sistema delle preferenze, hanno, di fatto, esautorato il territorio dalla selezione della classe dirigente. Chi si occupa della cosa pubblica viene scelto dall’alto, come accadeva nel sistema feudale. Vassalli, valvassori, valvassini. E servi della gleba. La società italiana è sempre più statica, frastagliata, piramidale. Tocca alla politica rifondarsi con nuovi valori etici e nuovi strumenti di democrazia e partecipazione. Farsi carico di un progetto di crescita e di equità, in grado di ricomporre in energie positive le spinte, diversamente disgregatrici, della società. E chi si autoproclama “riformista” farebbe bene a misurarsi subito su questo tema così decisivo per il futuro del nostro Paese.


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