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L’ora di Francoforte

Lo scorso 11 ottobre un gruppo di quasi 100 personalità di spicco europee ha firmato una lettera aperta ai 17 leader dell’eurozona. Con molti giri di parole, questa lettera diceva quello che i leader europei sembrano finalmente aver capito: che non possono continuare a rimandare la soluzione dei problemi, e che, soprattutto, non è sufficiente preoccuparsi che i singoli governi riescano a finanziare il loro debito a tassi di interesse ragionevoli, ma che devono affrontare la debolezza del sistema bancario europeo.
 
A dire il vero i problemi bancari e di finanza pubblica si alimentano a vicenda. La caduta del valore dei bond governativi ha messo in evidenza la sottocapitalizzazione bancaria, mentre la prospettiva che i governi debbano finanziare la ricapitalizzazione bancaria ha spinto in alto i premi al rischio sui titoli di Stato. Con la prospettiva di dover aumentare il capitale in una fase di mercato in cui le loro azioni valgono molto meno del valore di libro, le banche sono fortemente incentivate a contenere i loro bilanci ritirando le linee di credito e riducendo il loro portafoglio creditizio.
 
I leader europei stanno ora considerando cosa fare, e le loro prossime mosse saranno gravide di conseguenze, sia che riescano a calmare i mercati sia che li conducano a nuovi estremi. Tutti sono d’accordo che la Grecia ha bisogno di una ristrutturazione ordinata, perché un default caotico potrebbe provocare una crisi irreparabile nell’eurozona. Ma quando si tratta di banche, temo che i leader dell’eurozona stiano pensando a qualche misura inappropriata.
In particolare, si discute di ricapitalizzare il sistema bancario piuttosto che di garantirlo. E si vuole procedere Paese per Paese, piuttosto che sulla base dell’eurozona nel suo insieme. C’è una buona ragione per questo: la Germania non vuole pagare la ricapitalizzazione delle banche francesi. La cancelliera Angela Merkel ha le sue giustificazioni per insistere su questo punto, ma ciò la sta portando nella direzione sbagliata.
 
Vorrei delineare in modo più preciso lo stretto sentiero che potrebbe consentire all’Europa di attraversare questo campo minato. Il sistema bancario deve essere prima garantito, e poi ricapitalizzato. I governi non possono permettersi di ricapitalizzare le banche in questo momento; ciò li lascerebbe senza fondi sufficienti per affrontare il problema del debito sovrano. Costerà molto di meno ricapitalizzare le banche dopo che la crisi si sarà esaurita, e sia i bond governativi sia le azioni bancarie saranno tornati a livelli più normali. I governi possono, ad ogni modo, fornire una garanzia credibile, facendo leva sulla potestà di tassazione.
 
Ci vorrà tempo per negoziare e ratificare un nuovo accordo vincolante – non per cambiare il Trattato di Lisbona, che sarebbe un’impresa a ostacoli – ma per mettere in moto questa leva. Ma nel frattempo i governi possono invocare l’intervento della Banca centrale europea, che gli Stati membri dell’eurozona già garantiscono su base quotidiana. In cambio di questa garanzia, le principali banche dell’eurozona dovranno accettare di seguire le istruzioni della Bce. È un passo radicale, ma necessario nelle circostanze attuali. Agendo in nome e per conto degli Stati membri, la Bce ha sufficienti poteri di persuasione: può chiudere le finestre di sconto concesse alle banche, e i governi possono prendere il controllo degli istituti che rifiutano di cooperare. La Bce dovrà allora fornire istruzioni alle banche perché mantengano le loro linee di credito e i loro portafogli prestiti, al tempo stesso monitorando i rischi che essi assumono per proprio conto. In questo modo si rimuoverebbero uno o due dei principali fattori dell’attuale perturbazione del mercato.
 
La Bce può far fronte all’altro fattore fondamentale, ovvero all’inadeguato finanziamento del debito sovrano, in tre modi: diminuendo il tasso di sconto, spingendo i governi in crisi ad emettere titoli di Stato, e incoraggiare le banche a sottoscriverli (un’idea, quest’ultima, la cui paternità è attribuibile a Tommaso Padoa-Schioppa). I titoli di Stato potranno essere venduti in ogni momento alla Bce, rendendoli comparabili ad una forma di impiego liquido; ma fintanto che renderanno più dei depositi interbancari con la Bce, le banche troveranno vantaggioso tenerli in portafoglio. I governi potranno soddisfare il loro fabbisogno finanziario entro i limiti consentiti in questo periodo di emergenza, senza che la Bce debba violare l’articolo 123 del Trattato di Lisbona.
 
Queste misure saranno sufficienti per placare i mercati e porre fine alla fase acuta della crisi. La ricapitalizzazione delle banche dovrà attendere fino a quel momento; nell’immediato, solo i buchi creati dalla ristrutturazione del debito greco dovranno essere colmati. In conformità a quanto richiesto dalla Germania, il capitale addizionale dovrà provenire in primo luogo dal mercato e successivamente dai singoli governi – e solo come ultima istanza dalla European financial stability facility, preservando la potenza di fuoco di questo fondo salva-Stati.
Un nuovo accordo per l’eurozona, negoziato in un’atmosfera più calma, non solo dovrà codificare le pratiche stabilite durante l’emergenza, ma anche porre le basi per una strategia di crescita economica. Nel periodo di emergenza, i tagli al bilancio e l’austerità sono inevitabili; ma, nel lungo periodo, senza crescita il peso del debito diverrà insostenibile – e tale diverrà la stessa Unione europea.
 
© Project Syndicate 2011. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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