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Tutti pazzi per Mister Yuan

Lo yuan è la moneta della seconda potenza mondiale e della prima in termini di riserve valutarie detenute. Questa moneta non è convertibile: la Cina esercita il controllo dei cambi per controllarne strettamente il valore. Lo yuan è notevolmente sottovalutato. E da oltre trent’anni la strategia di Pechino è di agganciare lo yuan al dollaro, in modo che l’andamento delle due monete sia sincronizzato. Questa strategia monetaria consente alla Cina di attirare sul suo territorio le imprese multinazionali. Mantenere una moneta sottovalutata consente di produrre a costi inferiori. I cinesi si ricordano del 1985, quando Washington spinse il Giappone a rivalutare lo yen, strozzando l’industria giapponese. Non lasceranno che la cosa si ripeta con loro.
 
Peraltro indicizzare lo yuan al dollaro vuol dire fornire alle multinazionali protezione dal rischio valutario. In cambio di questo beneficio, la Cina chiede loro di produrre per l’esportazione, non per il mercato domestico. È una strategia geniale, un patto in cui entrambi i contraenti vincono: alle multinazionali i profitti, alla Cina il surplus commerciale con l’estero, a scapito dell’industria e della bilancia commerciale di Europa e Stati Uniti, che perdono occupati e capitali. Sono diversi gli interessi fondamentali in gioco che la Cina in questo modo difende.
 
In primo luogo, Pechino non può consentirsi un’oscillazione troppo rapida da un modello mercantilista basato sulle esportazioni ad un modello basato sulla domanda interna. In secondo luogo, la Cina, come la Germania, invecchia e nello spazio di 20 o 30 anni dovrà finanziare un gran numero di pensionati. Di qui la necessità di accumulare entrate dal fronte dell’export. Queste ultime infine le permettono di acquistare asset. Per esempio, i buoni del Tesoro americano, vale a dire il debito pubblico degli Stati Uniti. Pechino in questo modo si volge sempre più verso asset tangibili: questa o quell’impresa con una tecnologia strategica e ambita, o qualsiasi impresa che funga da porta d’ingresso in un dato mercato. Ci si attende quindi una crescente importanza della Cina nel mondo finanziario. Questa situazione comporta gravi deficit commerciali in Europa e in America. In questo modo non solo i posti di lavoro, ma anche il capitale viene delocalizzato in Asia.
 
Le multinazionali non investono più in occidente. Ci resta giusto l’impiego pubblico, con il quale si cerca di mascherare l’emorragia di lavoratori del settore privato commerciale. E intanto si fanno regali fiscali alle grandi imprese e ai super-ricchi.
Ma l’errore fondamentale è stato ammettere la Cina nel Wto nel 2001 senza chiederle di rinunciare al controllo dei cambi. Tra il 2005 e il 2008 Pechino ha proceduto sotto pressione internazionale ad una rivalutazione a piccoli passi, l’1% di tanto in tanto. Con l’arrivo della crisi, è tornata integralmente all’indicizzazione al dollaro. Dopo qualche mese, ha ripreso la politica delle piccole rivalutazioni. Ma per mettere lo yuan al suo livello reale, questo dovrà esser rivalutato del 30 o 40%. D’altra parte, si possono comprendere i cinesi, che non vogliono alimentare l’inflazione con un brusco rialzo.
La Cina, va detto, è obbligata ad una navigazione con continue correzioni. Ma a livello globale vi è un momento in cui la macchina economica sfugge ai suoi controllori. Qui nessuno è più in grado di controllare alcunché, e poi Pechino non può comprare il debito di tutti gli Stati europei. Certo, si è dichiarata pronta ad aiutare, ma si è trattato più che altro di un annuncio.
 
Penso che gli europei non troveranno una posizione comune sul problema dello yuan al G20 di Cannes. Il principale partner della Cina in Europa è la Germania, che, utilizzando la stessa strategia mercantilista, ha realizzato il proprio surplus nella zona euro. Il fatto che l’euro sia troppo forte per lo yuan non preoccupa i tedeschi, che occupano la nicchia dell’alto di gamma. Il cambio dell’euro non è determinante quando si tratta di comprare una Mercedes. Piuttosto siamo noi francesi ad essere interessati al problema. Quanto agli americani, gli unici in grado di fare pressioni sulla Cina, non potrebbero mai rimettere in causa l’adesione cinese al Wto, per il loro attaccamento all’ideologia liberoscambista. Non hanno compreso i problemi che pone loro il deficit commerciale nel momento in cui l’America si impoverisce. I cinesi d’altra parte vogliono che la loro moneta divenga col tempo la seconda divisa mondiale, anzi la prima. Hanno già suggerito alle altre potenze emergenti di non utilizzare più il dollaro per gli scambi regionali, ma un’altra moneta comune: e perché non lo yuan?
 
Di fronte a questa situazione, ci accorgiamo che l’Europa a 27 è un’eresia. Francia e Germania devono mettersi al tavolo, e progettare una nuova fase della costruzione europea. Si può continuare a vivere insieme, con i compromessi che questa situazione implica? Si dovrà allora realizzare una vera potenza europea, con una vera strategia geopolitica. Il Brasile ha imposto dazi alle importazioni, obbligando Apple a produrre sul posto; e ha fatto lo stesso con le automobili. Anche l’Europa deve muoversi in questa direzione. Alla lunga, se non si fa nulla, se si continuano ad accumulare squilibri, come all’inizio del xx secolo, l’esito sarà lo stesso: la guerra.
 
Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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