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Francia, Sarko-bis tutto in salita

Trentuno anni dopo e con un altro François. Mai come oggi, nei tempi recenti, la sinistra francese è stata così vicina al ritorno all’Eliseo. Il 10 maggio 1981 il popolo della gauche festeggiava il trionfo di Mitterrand, primo e unico presidente socialista della Quinta repubblica e il 6 maggio prossimo potrebbe tornare a cantare “on a gagné” con Hollande. L’uomo nuovo della speranza è salito alla ribalta internazionale vincendo in maniera autorevole e convincente le primarie del Ps in ottobre. Quello che, solo fino a qualche mese fa, era per tutti il segretario del partito socialista più litigioso d’Europa e compagno di vita di Ségolène Royal, ha saputo in poco tempo ricostruirsi l’immagine pubblica e la reputazione politica.
 
Si è messo a dieta, ha cominciato a girare in motorino per sembrare un parigino qualunque e, al contempo, ha assunto un tono così rassicurante e istituzionale da sembrare per davvero presidenziabile. Moderato, mediatore, col pallino della riforma fiscale e del patto tra generazioni per rilanciare il lavoro. Un registro che, a molti osservatori, ha riportato alla mente proprio lo stile del primo Mitterrand, capace al contempo di scaldare i cuori dei militanti di sinistra di città e di rassicurare la pancia della Francia, l’elettorato medio delle province e delle campagne che puntualmente decide le sfide elettorali.
 
Il “candidato normale” François Hollande andrà contro il “presidente di rottura” Nicolas Sarkozy, l’iperattivo e vulcanico uomo nuovo del gaullismo, che tante speranze e aspettative aveva saputo creare attorno a sé nel 2007 e che oggi, invece, si trova a rincorrere un’opinione pubblica scettica e un elettorato deluso dal suo quinquennio. La crisi economica, certo, ma anche una serie di errori politici e un discreto numero di piccoli e grandi affaires (il caso Bettencourt e lo scandalo Karachi su tutti) hanno logorato pian piano Sarko fino a renderne complicata la rielezione. Bilancio paradossale, quello della sua presidenza: tanto efficace e autorevole all’estero, basti solo pensare all’operazione in Libia o al rinnovato asse con la Germania nella gestione delle cose europee, quanto confusa e poco concreta in patria. “Se si votasse oggi, sono certo: Sarkozy perderebbe nettamente” confida a Formiche Jean-Marie Colombani, uno che di elezioni e anche di rimonte ne ha viste tante. “Ma lui – assicura l’ex direttore di Le Monde – è un animale elettorale e deve ancora calare i suoi assi e poi in Francia fare una campagna per le presidenziali è come finire in una lavatrice. Sai come entri, ma non sai mai come finisci: puoi uscirne bello e pulito, oppure a brandelli”. Quali siano le carte vincenti di Sarkozy per fine aprile, in verità, è difficile saperlo.
 
L’economia francese annaspa (l’ottimistico 1% di crescita previsto dal governo per il 2012 è stato ritoccato al ribasso dalla Commissione europea ad un più modesto 0,6%); il debito pubblico non sarà ai livelli italiani, ma continua comunque a salire a ritmi preoccupanti ed è vicino alla soglia critica del 90% rispetto al Prodotto interno lordo; ma a togliere il sonno è soprattutto la disoccupazione, ormai a due cifre. Cosa può inventarsi il presidente uscente per vincere? Secondo l’ex ministro della Giustizia Rachida Dati, Sarkozy dovrebbe soprattutto compiere un’operazione di verità. “Dovrà raccontare al Paese il suo bilancio – ci spiega – e dire quello che ha fatto per evitare alla Francia un downgrading come è successo all’Italia”. “La Francia e i francesi – argomenta la donna forte dell’Ump – sono stati difesi in questo momento di grave crisi e la disoccupazione non è esplosa”. Rachida Dati non teme che Hollande possa rubare voti moderati pescando tra gli scontenti del sarkozismo: “Alle elezioni si affronteranno due visioni, due diverse idee e ambizioni del nostro Paese, ma molto dipenderà da come Sarkozy spiegherà quello che ha fatto come presidente della Repubblica”. Attenzione, però, anche alle altre ambizioni, quella dinastica di Marine Le Pen, quella ecologista di Eva Joly e quella centrista di François Bayrou. Fino a non troppi mesi fa, la candidatura della Le Pen sembrava in grande ascesa e destinata a dare molto fastidio alla destra moderata al primo turno ma, complice l’inesperienza e forse una non solidissima ricetta economica, la figlia di Jean-Marie si è ritrovata in difficoltà. Potrebbe tornare in auge cavalcando le vecchie parole d’ordine dell’estrema destra transalpina, ma riuscire ad arrivare al ballottaggio, ripetendo così il miracolo del 2002, appare molto complicato.
 
Come assai arduo sembra il compito dell’ex magistrato anti-corruzione, norvegese di nascita, francese di adozione e verde per vocazione: la Joly difficilmente arriverà al ballottaggio, ma di sicuro costringerà Hollande e i socialisti a sudarsi i suoi voti al secondo turno. Sullo scivoloso tema del nucleare, in particolare, Europe ecologie è pronta a dare parecchio filo da torcere. E poi c’è lui, le troisième homme, colui che cinque anni fa quasi riuscì a spezzare il bipolarismo destra-sinistra col suo centro che non si schierava. François Bayrou arriva a questa scadenza elettorale un po’ più logoro (i sondaggi lo accreditano solo del 9%, la metà del risultato di cinque anni fa) ma con una piattaforma sempre molto credibile. Del resto è merito soltanto suo se nel dibattito pubblico è entrata la questione della riduzione del debito. Ripetere il capolavoro centrista sarà durissimo, ma occhio al mite Bayrou, un trattore della politica, che sfiderà la fuoriserie un bel po’ sgangherata di Sarkozy e la familiare di Hollande. In fondo, come ci dice l’economista Jean-Paul Fitoussi, nelle annate elettorali in Francia “chi parte troppo forte a ottobre rischia di arrivare già cotto ad aprile”.


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