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Germania, l’assalto dei pirati

Quindici anni fa non pochi studenti di Scienze politiche si lamentavano – ben inteso, quelli che frequentano i corsi sui partiti tedeschi – della noiosità della loro materia: ovunque ci si guardasse attorno, si vedeva solo stabilità e continuità. Tutto attorno i partiti collassavano, interi sistemi partitici perdevano le radici e strani personaggi si candidavano per alte cariche pubbliche, ma i tedeschi nel frattempo hanno conosciuto soltanto Helmut Kohl, cancelliere di lunga durata e i partiti popolari, sempre uguali. Di fatto, l’unica discontinuità che il panorama dei partiti di Bonn si è concessa è stata la rottura, piuttosto grave, di una coalizione. Ora i tempi sono cambiati: i candidati alla cancelleria diventano, inaspettatamente, cancellieri veramente. La Cdu e l’Spd devono seriamente impegnarsi per contrastare sul piano elettorale nuovi partiti come la post-comunista Linke (Sinistra) e i cosiddetti Pirati. Anche le decisioni governative scuotono profondamente le antiche certezze tedesche: alle Forze armate viene tolto il servizio militare obbligatorio, vengono chiuse le centrali nucleari e la politica estera, un tempo consensuale, suscita reazioni nei partner occidentali, per esempio sul salvataggio dell’euro o sulla questione libica. Insomma, il cambiamento finisce con l’essere l’unica costante rimasta alla politica tedesca.
 
E tuttavia questi cambiamenti sono, in sostanza, eccezioni: in realtà, la politica tedesca si muove lungo i binari consueti. Al di sotto della frenesia quotidiana della moderna democrazia mediatica, la cara vecchia noia strizza l’occhiolino: la società tedesca invecchia e si tiene perciò ben stretto il suo Stato sociale. La società del sapere scuote le certezze del ceto medio, che tuttavia ancora vuole credere all’ideale educativo borghese umanistico. Nuovi movimenti politici calcano la scena pubblica, e tuttavia il tradizionale partito di iscritti resta il modello organizzativo ideale. E anche nell’era della globalizzazione economica la Germania, prima potenza esportatrice mondiale, resta legata all’economia sociale di mercato. La politica tedesca è esposta ad un fortissimo stress, ma questo non porterà all’infarto del sistema partitico. Perché mai?
 
I partiti derivano il loro stabile assetto da una ben radicata cultura politica, che è saldamente ancorata alla memoria collettiva della nazione. A seguito dello sfortunato esperimento della Repubblica di Weimar, dei crimini del regime del terrore nazionalsocialista e degli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, l’ideale dell’equilibrio politico si è assestato al centro dello spettro delle culture politiche. Certo, non mancavano dibattiti anche veementi, ma dovevano essere motivati dalla ricerca del bene comune, e per nulla al mondo dovevano far insorgere il sospetto che volessero creare divisioni nel popolo.
Una Thatcher tedesca è ad oggi uno sviluppo impensabile. È nella natura stessa di Angela Merkel: nel 2003 ella personificava, in quanto risoluta leader dell’opposizione, l’allora imperversante terremoto ordo-liberale e per poco questo le costò il cancellierato e la guida del partito nel 2005; da allora, l’equilibrio politico è diventato il suo mantra. Con ciò si è allontanata mille miglia da un modello di leadership carismatica, Piuttosto, le rimane un senso molto pronunciato per i cambiamenti sociali. Ai tedeschi piacciono le svolte felpate, non gli improvvisi cambi di potere. Per questo non è necessaria una grande coalizione. La composizione degli interessi avviene all’interno dei partiti.
 
I conservatori potrebbero criticare la politica della Merkel, denunciando una svendita delle posizioni tradizionali cristiano-democratiche. Ma la cancelliera non fa altro che proseguire la tradizione della Cdu. Ella si pone al centro dello spettro politico, interiorizzando le tendenze alla modernizzazione sociale, che comunque non devono essere fermate o modificate. Questa impostazione politico-sociale è profondamente cristiano-democratica, per esempio nell’ambito delle politiche per la famiglia. Lo Stato non prescrive alle famiglie il proprio ideale formativo, ma registra i mutati orientamenti verso un maggior ricorso al tempo pieno nelle scuole e nuovi ruoli dei genitori. Con ciò si riafferma quello che è propriamente e veramente importante per la Cdu: la famiglia stessa. È questo pragmatismo a dare alla Cdu una solida posizione al centro della società. Nei suoi sette anni di cancellierato, Angela Merkel non si è andata ad ingarbugliare in questioni programmatiche. Dove è inciampata, è sulle inadeguatezze organizzative.
 
La Cdu è all’altezza dei tempi politicamente, non organizzativamente. Il partito ha perso il suo fiuto per intercettare le domande politiche di nuovi strati elettorali. È questo un elemento importante per la sopravvivenza futura di un partito popolare che ha elevato a filosofia la composizione degli interessi. I Pirati, da questo punto di vista, non fanno che mettere il dito nella piaga. Ciò che li motiva è, nella sostanza, ben poca novità. Si tratta in fondo della solita vecchia questione: quanta libertà può concedere lo Stato e che valore ha la proprietà privata. I Pirati non rappresentano, per il sistema dei partiti politici tedeschi, una sfida ideologica come a suo tempo furono i Verdi. Sono tuttavia un ammonimento per i partiti popolari ad aprirsi, dal punto di vista organizzativo, a nuovi gruppi: non solo i giovani e le donne, è notevolmente sottorappresentata anche la componente in forte crescita di cittadini discendenti da immigrati. Su questo piano i partiti popolari devono sviluppare un progetto di organizzazione proiettata sul futuro, se non vogliono finire come semplici “lord del sigillo privato” del vecchio ordine repubblicano e federale. È questa la vera sfida che aspetta Angela Merkel. E se dovesse fallire nell’intento, beh, allora i futuri corsi universitari dedicati ai partiti tedeschi diventeranno tremendamente interessanti.
 
Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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