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Lotte interne e assedio esterno

Nel marzo 2012 si terranno le prossime elezioni parlamentari in Iran. Non una gran notizia apparentemente, dato che nelle due ultime elezioni (2004 e 2008), il Consiglio dei guardiani della rivoluzione – un organo costituzionale nelle mani dei conservatori – aveva manipolato pesantemente l’esito elettorale, impedendo alla maggior parte dei candidati riformisti di presentarsi.
Da quattro anni, il barometro politico a Teheran è ulteriormente peggiorato. Se il mondo arabo sta vivendo una sia pur travagliata primavera, in Iran regna un lungo gelido inverno. Dopo la brutale repressione delle proteste popolari seguite ai massicci brogli elettorali che portarono alla rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad nel 2009, il panorama politico interno è ulteriormente peggiorato: espulsi dall’élite di potere post rivoluzionaria tutti i riformisti, bruscamente marginalizzati i cd. conservatori pragmatici – vicini a religiosi come Rafsanjani e Rowhani – si è assistito recentemente a un forte scontro per il potere fra il leader degli ultra-radicali, il presidente Ahmadinejad e il rahbar (la Guida suprema), ayatollah ‘Ali Khamenei, il referente dei cd. conservatori tradizionalisti.
 
Uno scontro che si è rapidamente concluso con la sconfitta di Ahmadinejad, il quale è stato emarginato dal potere vero e abbandonato dalla maggior parte dei pasdaran (le potentissime guardie rivoluzionarie), fino ad allora i suoi grandi sostenitori. Risiede qui allora l’elemento di maggior interesse delle prossime elezioni: capire le dimensioni dello scontro fra conservatori tradizionali, legati al ceto religioso e a quello imprenditoriale (i cd. Baazar) e gli ultra-radicali cresciuti con il presidente Ahmadinejad.
Dalle voci che giungono dal Paese, sembra che l’orientamento prevalente fra i conservatori tradizionali sia quello di impedire la candidatura di molti ultra-radicali, così da ridurne il numero all’interno del Majles (il parlamento iraniano). Una mossa che rivela altresì la paura del rahbar circa il consenso popolare che può essere ancora mobilitato dagli apparati clientelari del presidente.
 
Paradossalmente, questa lotta tutta interna al variegato fronte conservatore può giovare al movimento riformista, pur senza grandi illusioni. Il regime al potere ha arrestato o costretto al silenzio la maggior parte dei politici riformisti di maggior spicco. E non permetterà mai che si torni agli anni di libertà e discussione delle presidenze Khatami. Tuttavia, il timore di una bassissima percentuale di votanti – che sottolineerebbe la mancanza di consenso popolare – preoccupa Khamenei e potrebbe spingerlo a cedere a qualcuna delle richieste avanzate da tempo dall’ex presidente riformista. Khatami, infatti, pone quale condizione per la partecipazione riformista al voto il rilascio dei prigionieri politici, libertà di espressione nella campagna elettorale e la fine dei brogli elettorali. Difficilmente otterrà tutto ciò, ma un compromesso è forse possibile.
 
Va infine considerato che la lotta tutta interna ai conservatori fra rahbar e presidente ha modificato anche il modo in cui Khamenei gestisce il suo enorme potere in Iran. Egli amava porsi come l’ago della bilancia politica, governando nell’ombra. La concentrazione di potere e la maggior diretta visibilità del suo ruolo amplifica i rischi per la Guida suprema, dato che la sua carica e la sua persona sono chiaramente al centro delle decisioni, senza più lo schermo di un presidente su cui far ricadere le colpe per i fallimenti economici e sociali del sistema. Nelle scorse settimane, si è anche ventilata l’abolizione della carica di presidente della repubblica, tramite una riforma costituzionale. Una minaccia diretta agli ultra-radicali, che tuttavia difficilmente si realizzerà: Khamenei, come detto, ama il potere senza accountability. Un presidente senza potere ma che risponde al popolo è perfetto per lui.
 
Sullo sfondo di queste lotte politiche vi è poi il crescente isolamento internazionale del Paese, causato dall’avventurismo nella politica estera regionale e soprattutto dall’aggravarsi del confronto con la comunità internazionale per l’ambiguo programma nucleare perseguito da Teheran.
L’Iran oggi deve affrontare il rafforzamento delle sanzioni economiche che causa gravi danni alla sua economia, un senso di solitudine strategica che produce atteggiamenti estremisti e finanche le minacce di attacchi militari dopo la divulgazione dell’ultimo rapporto dall’Agenzia atomica internazionale (Aiea). Un peggioramento dei rapporti internazionali che ovviamente produce dei contraccolpi all’interno del sistema di potere della Repubblica islamica e che potrebbe spingere parti dell’élite di potere di Teheran a manifestare il proprio dissenso da una linea politica che porta a costi tremendi (economici, diplomatici, politici), pone il Paese a rischio di aggressioni militari, senza dare benefici evidenti di lungo periodo.


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