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Riformatori, non rivoluzionari

Siamo di fronte ad una nuova generazione, forte, ben definita e con caratteristiche convergenti a livello globale. Una generazione che cambierà il mondo. Dopo l’egocentrismo della generazione X, i tratti rivoluzionari e utopistici dei ragazzi del ‘68, ecco i millennials.
L’ultima ricerca di Mtv, condotta in 15 Paesi del mondo sui giovani nati dalla fine degli anni Ottanta, ha messo subito in evidenza che i “figli di Internet” si caratterizzano per una forte discontinuità di principi e di priorità rispetto alle generazioni precedenti. Un fatto a mio avviso epocale per la tipologia e la qualità dei valori che questi ragazzi porteranno nella società man mano che diventeranno adulti. Costruire una vita positiva per sé e chi li circonda, desiderare di ottenere successo grazie all’impegno, rendere fieri i propri genitori, vivere in un mondo che rispetti la meritocrazia, osservare la vita con uno sguardo propositivo e sempre attento al presente, essere costantemente iperconnessi e in relazione gli uni con gli altri, cercare di risolvere le questioni globali senza sovvertire il sistema, ma utilizzando al meglio le sue stesse regole. Questi sono solo alcuni dei tratti distintivi dei “nuovi” giovani.
 
Perché dobbiamo riporre la nostra fiducia e il nostro futuro in questi ragazzi? Per diversi motivi, a partire dal più semplice: perché sono demograficamente numerosi, circa due miliardi e mezzo in tutto il mondo. È da molto tempo che non capitava di poter osservare una generazione così consistente e quindi, più di altre, in grado di imporsi all’interno della società. Ma la quantità non basta: questi ragazzi sono soprattutto in sintonia con lo spirito del nostro tempo e integrati nella società in cui vivono. L’essere sempre connessi e in relazione li rende, infatti, aperti, curiosi, aggiornati e consapevoli di far parte di una collettività, che spesso viene prima dei singoli. Questo permette ai millennials di rispondere ai problemi globali guardando al bene comune e non con un’impostazione individualista, come spesso è accaduto nelle generazioni precedenti.
 
L’economista Jeffrey Sachs – direttore dell’Earth institute della Columbia University – sostiene che quando i “figli di Internet” riusciranno a prendere in mano le redini del loro futuro, saranno gli unici in grado di affrontare i grandi problemi globali e risolverli, con pragmatismo e senza scorciatoie. Mi sento di condividere le parole di Sachs. Sono, infatti, convinto che i millennials cambieranno il mondo perché sono, prima di tutto, riformatori e non rivoluzionari: non vogliono sovvertire il sistema, ma cambiarlo dall’interno. I millennials si impegnano per costruire un mondo più attento all’individuo, all’ambiente, alle diversità e ai diritti, un mondo dove ciascuno può esprimere il proprio talento e le proprie capacità, un mondo limpido, senza falsità o false promesse, un mondo dove bisogna impegnarsi a fondo e dove a ciascuno viene riconosciuto il proprio merito. In poche parole, un mondo più democratico.
 
In Italia, più che in altri Paesi, c’è bisogno di questa generazione. Stiamo provando sulla nostra pelle, infatti, come il nostro essere individualisti e attenti solo all’interesse personale, con l’incapacità di avere a cuore il bene comune e di rispettare i diritti di tutti, stia distruggendo la nostra società, la nostra cultura e il nostro Paese. Ogni giorno diventiamo sempre più consapevoli che, se vogliamo dare un futuro alle prossime generazioni, se vogliamo che i nostri figli possano godere del nostro Paese, è necessario cambiare rotta e imparare da questa generazione cosa vuol dire bene comune, onestà e meritocrazia. Le prospettive dei nostri ragazzi attualmente non sono confortanti: basti pensare che se un giovane argentino o giapponese alla domanda “Quali sono i tuoi eroi?” risponde più semplicemente con “i miei genitori”, i giovani italiani credono invece che il “vero eroe è colui che riesce a trovare un posto di lavoro”. Prospettive molto distanti ma quasi ovvie in un Paese, come l’Italia, caratterizzato da una società anziana e bloccata, basata su regole chiuse e miopi, che considera spesso i giovani un peso più che una speranza e una risorsa. In Italia la vita per i millennials è di conseguenza più difficile che in altri Paesi nel mondo.
 
Cosa accadrà quando i millennials in Italia si scontreranno con una realtà che vede la disoccupazione giovanile avvicinarsi al 30%, dove attualmente 2 milioni e 200mila ragazzi non studiano, non lavorano e non fanno apprendistato, dove i giovani sono costretti ad emigrare invece di costruire qualcosa qui, dove la società si occupa di loro solo a parole, non è facile prevederlo. Ma è proprio questa la prossima sfida per l’Italia, quando questi ragazzi si avvicineranno al mondo del lavoro qualcosa accadrà o dovrà accadere, necessariamente e senza via di uscita. La speranza è che, nello scontro con la realtà, questi millennials siano in grado di rimanere ben saldi rispetto ai loro valori, l’essere riformatori, ottimisti e fiduciosi nel futuro, consapevoli che il mondo è in movimento e che è necessario cambiare, essere pronti a evolvere, ma insieme, pensando alla collettività e non al singolo.
 
Allo stesso tempo, però, anche le generazioni precedenti dovranno rendersi conto che la speranza per un futuro migliore risiede in questa nuova generazione. Riuscire a creare per loro una prospettiva reale di futuro è prima di tutto doveroso oltre che fondamentale, dare loro la possibilità di diventare protagonisti della società, in Italia e nel mondo, è un passo che ciascuno di noi deve impegnarsi a fare per loro e per noi stessi.


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