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Dal taglio al risparmio

Un’aria da cupio dissolvi avvolge il Vecchio continente. Il nuovo anno si apre con i ritriti dilemmi della crisi non ancora risolti e persino aggravati. La bolla immobiliare è scoppiata trascinando il mondo della finanza privata, poi quello delle banche, poi quello dei debiti sovrani e infine l’economia a tutto tondo. Di volta in volta, gli analisti si sono concentrati sull’epifenomeno trascurando la visione globale. Talvolta si è riusciti a curare i sintomi, talvolta no. Ma quel che davvero è mancata è stata una eziologia della crisi. Il livello eccessivo dei consumi è stato finanziato a debito (privato e/o pubblico). Questo, aggiunto ad una dilatazione non correttamente istituzionalizzata della globalizzazione (Fmi, Wto, World Bank, ecc.), ha determinato uno squilibrio generale e profondo. In Europa e in occidente spendiamo più ricchezza di quanta ne produciamo e non ci è più consentito continuare come nulla fosse. Al fondo, è questa – molto banalmente – la verità di cui dobbiamo prendere atto.
 
La consapevolezza è una condizione necessaria ma non sufficiente. Il “che fare?” non è altrettanto ovvio. Le ricette messe in campo hanno tutte punti di forza e di debolezza, ma nessuna appare davvero pienamente efficace. Mentre gli Stati Uniti continuano a privilegiare la crescita e la tenuta del sistema nel suo complesso a discapito del rigore finanziario, in Europa (Inghilterra esclusa) si fa il contrario stringendo la cinghia del debito pubblico e contraendo al contempo gli investimenti nello sviluppo economico. È evidente che per gli Usa è comunque tutto più semplice: si tratta di una superpotenza globale con uno Stato (federale, ma unitario) e una moneta. Per noi europei il tema della governance è assai più complesso. Siamo una federazione di Stati sovrani uniti da una moneta e da istituzioni non pienamente democratiche. Un guaio dentro un guaio. Aggravato dall’ostinazione di non risolvere né il problema dell’economia né quello delle istituzioni. Di tampone in tampone la Ue allunga i tempi ma accorcia le sue prospettive.
 
Probabilmente, da entrambe le sponde dell’Atlantico è giusto attendersi un cambio di paradigma. Dal cilicio dei tagli (ai budget pubblici e a quelli delle famiglie) alla virtù del risparmio, del consumo intelligente. Se partiamo infatti dalla premessa che tutto ha origine dallo squilibrio con cui si forma e si distribuisce la ricchezza, allora non possiamo che ripartire da qui. Dalla necessità cioè di non farci sopraffare dal senso di colpa o dalla fretta di riportare l’equilibrio in tempi non sostenibili. La politica deve tornare a guidare l’economia e ad offrire una piattaforma alternativa. Dobbiamo tornare a studiare, lavorare, investire e crescere. Tutto questo riducendo gli sprechi (enormi) cui siamo abituati. Dall’energia al cibo, deve cambiare il nostro stile di vita. Si impone una nuova ecologia umana. E per chi ha fede non si tratta di una novità assoluta.


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