Skip to main content

I fondamentali del fondamentalismo

Il fondamentalismo islamico è ormai da decenni argomento di discussione sia sulle pagine dei giornali, sia negli studi di specialisti in vari campi. Ma che cosa è il fondamentalismo, e in particolare il fondamentalismo religioso?
Un gruppo di studiosi riunitosi negli Stati Uniti nel 1989 ha pubblicato cinque volumi dal titolo Fundamentalism project, in cui si mettono in luce le caratteristiche comuni di tali movimenti. Tra di esse, la preoccupazione per la perdita di importanza della religione nella sfera pubblica; il rifiuto della modernità e, al contempo, l’uso di quanto in essa può essere utile; la selezione di particolari aspetti della tradizione per riadattarli ai propri scopi; la presenza di un “nemico” (dittatori, élites occidentalizzate o correligionari tendenti al compromesso) e, talvolta, l’uso della violenza. Tali aspetti, presenti anche nei fondamentalismi di altre religioni, hanno spesso mostrato, in quello islamico, una chiara matrice anti-occidentale, tragicamente evidente nei numerosi attacchi terroristici compiuti contro obiettivi statunitensi, israeliani o europei.
 
È probabilmente questo il motivo per cui il fondamentalismo degli islamisti fa più paura di altri. Spesso, tuttavia, si dimentica che i fondamentalismi sono un prodotto della globalizzazione e della crisi identitaria che essa ha provocato. Le società che non riuscivano più ad affermare la propria identità a livello locale, lo hanno fatto “inventandone” un’altra su base globale. Se questo è vero per i fondamentalismi in generale, forse lo è di più per quello islamico. I Paesi musulmani, e quelli arabi in particolare, in cui il sentimento di appartenenza risulta forte, hanno mal sopportato più di altri la colonizzazione e l’islamismo ha fornito loro una sorta di “linguaggio per la resistenza”, un linguaggio religioso per riaffermare la propria cultura molto più forte del nazionalismo laico. A questo si aggiunga che i movimenti fondamentalisti si sono sempre opposti alla corruzione spesso dilagante dei governi laici e da sempre compiono attività caritatevoli quali la gestione di scuole e ospedali in favore degli strati più poveri della società. È probabile che sia questo il motivo per cui spesso i partiti legati a tali movimenti vincono le elezioni dopo la caduta di regimi laici e filo-occidentali.
 
Partendo da questo e alla luce delle recenti elezioni in Egitto, vorremmo proporre alcuni spunti di riflessione in materia di fondamentalismo islamico. È ben noto che il partito dei Fratelli musulmani e quello dei salafiti hanno avuto la maggioranza dei voti. Entrambi i movimenti hanno le caratteristiche segnalate dal Fundamentalism project; più marcate nei salafiti, che vogliono reinstaurare la sharia e che non vedono di buon occhio né i diritti delle donne, né i copti, meno nei Fratelli musulmani, che sembrano comunque disposti a collaborare con i liberali, che hanno condannato l’attacco all’ambasciata israeliana e che hanno dichiarato che rispetteranno la pace tra l’Egitto e Israele, anche se occorre qualche modifica. Anche se questo stato di cose può preoccupare l’occidente, questi sono i partiti che la maggior parte degli egiziani ha democraticamente votato; e se in Egitto ci sarà un governo formato da quei partiti, è con quel governo che si dovranno avere rapporti.
 
La reazione negativa alla vittoria di Hamas nei territori palestinesi o di Hezbollah in Libano non ha certo contribuito a migliorare la situazione mediorientale, né a favorire le trattative di pace in Israele/Palestina. Se paragoniamo poi i partiti vincitori al vecchio regime, loro acerrimo nemico, o alla giunta militare attualmente al potere, viene da domandarsi chi sia più “fondamentalista”. La politica repressiva e violenta di Mubarak, ben visto da Stati Uniti, Europa e Israele, è più che nota per essere ulteriormente commentata. Quanto al Consiglio supremo delle Forze armate, le sue credenziali non sembrano migliori. In un rapporto del 22 novembre scorso, Amnesty international ha segnalato, tra l’altro, che le donne arrestate per ordine della giunta militare sono state sottoposte a “test di verginità” che un generale ha giustificato dichiarando che non si trattava di donne “come le nostre figlie”, ma di ragazze che avevano dormito nelle tende insieme a manifestanti maschi. Il significato di tali parole è evidente. E, come i salafiti, neppure l’attuale governo deve avere particolare simpatia per i copti, se negli scontri con le forze di sicurezza del 9 novembre sono rimasti uccisi 28 cristiani. Non sempre, dunque, il fondamentalismo deve assumere sfumature religiose.
 
Bisogna inoltre sottolineare che gli islamisti di oggi, diversamente da quelli degli anni ‘80 e ‘90 e da al Qaeda, intendono raggiungere i propri scopi, alcuni meno volentieri di altri, proprio attraverso una politica democratica; anche se forse intesa in modo leggermente diverso da come la intende l’occidente, e in cui la religione islamica avrà un peso maggiore di quanto altre religioni non lo abbiano in altri Paesi.
Il fondamentalismo, quello islamico, almeno, sembra sulla via del cambiamento. Come fa notare Adam Shatz sulla London review of books, “gli islamisti sono stati segnati dall’esperienza della repressione di Stato e dagli attacchi di al Qaeda contro altri fratelli musulmani”. Benché non possano certo definirsi liberali, hanno capito che collaborando con i liberali hanno molto da guadagnare e che la umma, e la stessa fede, hanno più possibilità di sopravvivere con un governo democratico che non in uno Stato rigidamente islamico come quello iraniano. Se l’atteggiamento del fondamentalismo islamico sta cambiando, forse dovrebbe cambiare anche quello degli analisti che se ne occupano. Massimo Introvigne, profondo conoscitore della materia, ha osservato che l’islam è come una scatola ed è necessario aprirla per sapere che cosa c’è dentro. Parafrasando le sue parole, apriamo anche la scatola del fondamentalismo islamico e consideriamo senza pregiudizi ciò che contiene.


×

Iscriviti alla newsletter