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Il mosaico indiano

L’India ha ritrovato il suo Gandhi. Non che gliene siano mancati, nei 54 anni della sua indipendenza, di leader di quel nome succedutisi al potere, in una sorta di dinastia familiare con addentellati italiani da Indira a Sonia.
Ma Anna Hazare, il digiunatore moralizzatore, che con la famiglia Gandhi non c’entra proprio nulla, ha saputo risvegliare, con la sua protesta pacifica e la sua campagna anti-corruzione, l’orgoglio nazionale e il senso d’appartenenza a una nazione, richiamandosi al padre della patria, il Mahatma Gandhi, assassinato nel 1948. L’azione di Hazare, così come la storia del Mahatma, fanno emergere alcune delle contraddizioni dell’India, che è la più popolosa democrazia al mondo, ma una culla di diseguaglianze da casta, dove ogni 20 secondi muore un bambino di meno di 5 anni; un Paese in sviluppo, ma ancora poverissimo, dove è indigente circa un terzo della popolazione (chi vive con meno di 40 centesimi d’euro al giorno in campagna e 49 in città); una terra di tolleranza, ma con eccessi di violenza; un laboratorio della non violenza, ma una potenza atomica.
 
Lo scorso 28 agosto, una marea umana aveva esultato per la fine del digiuno di Hazare: decine di migliaia di persone si erano ritrovate sulla spianata di Ramlila, nel centro di New Delhi, per essere testimoni di un momento percepito come storico: la fine in India dell’era della corruzione. Il leader della protesta, 74 anni, fervente ammiratore dell’eroe dell’indipendenza indiana, ne ha ripreso strumenti di lotta pacifici, come il digiuno, e pure la foggia del vestire. Intorno a lui, quella domenica, la folla cantava e scandiva all’unisono lo slogan “Giuro che non prenderò mai delle bustarelle”. Ma Hazare era cauto e avvertiva: “La lotta non si ferma: vogliamo cambiare il Paese, nel rispetto della Costituzione”, un cammino sul quale “siamo solo a metà strada”.
 
E, forse, neppure. Perché la corruzione è uno dei problemi dell’India, ma non è certo il solo. E, comunque, le promesse politiche non bastano a debellarla. Hazare ha ottenuto impegni e concessioni da parte di governo e Parlamento, ma tutto deve ancora tradursi in legge e, soprattutto, calarsi nei comportamenti di ogni giorno di amministratori e funzionari. E, infatti, a metà dicembre, Hazare è tornato a digiunare, sia pure simbolicamente, denunciando come “inefficace” il progetto di riforma all’esame di Camera e Senato, il Lokpal Bill. E questo nonostante che, pochi giorni prima, un generale fosse stato riconosciuto colpevole davanti a una corte marziale d’una vicenda di corruzione che era già costata grado e posto a un comandante di corpo d’armata. Ora, restano molte incognite su come e quando l’agenzia indipendente anti-corrotti, Lopka, sarà realizzata e di quali poteri sarà effettivamente dotata. La pratica delle bustarelle, capillarmente diffusa in India, ha già provocato scandali in serie toccando esponenti della coalizione di governo guidata dal Partito del Congresso di Sonia Gandhi. La promessa di colpire davvero i corrotti a ogni livello della pubblica amministrazione, fino all’ultimo consigliere del Comune più piccolo, è suggestiva, ma ha contorni d’utopia.
 
L’India è una potenza emergente, è nel G20 ed è uno dei Bric (con Brasile, Russia e Cina), ma è anche un Paese complesso, attraversato da contrasti e contraddizioni profondi: nell’epoca dell’ascesa dell’Asia, è destinata a una crescente importanza, ma è riluttante ad assumere responsabilità globali, forse perché i problemi interni prevalgono sulla proiezione internazionale. La sua dimensione appare quella di una potenza regionale, consacrata e consumata, fin da prima dell’indipendenza, nel contrasto non solo religioso con il Pakistan, talora sanguinoso, sempre sterile e dispendioso. Un nodo cruciale dell’India è, oggi, proprio lo sviluppo ineguale, per aree geografiche, ma pure per settori sociali, di un Paese esteso su un territorio di circa 3,3 milioni di chilometri quadrati (11 volte l’Italia, un terzo dell’Europa), con una popolazione destinata a superare gli 1,2 miliardi prima della fine dell’anno e con un sistema di governo federale complesso.
 
In termini geografici e demografici, l’India è un gigante. Invece, avverte l’economista C.P. Chandrasekhar, “dal punto di vista dello sviluppo, si posiziona piuttosto in basso nella classifica internazionale: con un reddito pro-capite di 1192 dollari l’anno nel 2009, l’India è, infatti, al 137simo posto sui 184 Paesi considerati dai World development indicators della Banca mondiale”. In un articolo pubblicato da India Indie, un periodico curato dallo Iai e da tWai, Chandrasekhar scrive: “Ben più di un terzo, quasi i due quinti della popolazione indiana vivono al di sotto della soglia di povertà”.
La ricostruzione della mappa delle diseguaglianze regionali indiane è uno strumento essenziale per la comprensione della complessità del tessuto socio-economico nazionale. I divari che segnano il territorio dell’Unione e, in particolare il crinale che separa il nord-est dal sud-ovest, risalgono fin al passato coloniale. E lo sviluppo capitalistico indiano ha la propensione “a spiegarsi in modo profondamente diseguale nel territorio”. Ciò comporta il consolidarsi delle gravi difficoltà del nord-est. Le riflessioni di Chandrasekhar sfociano in interrogativi non marginali sulla sostenibilità nel lungo periodo dell’attuale traiettoria di crescita economica dell’India.
 
Tanto più che le disparità regionali sono fra le cause del problema tuttora attuale dell’insicurezza alimentare, che l’economista Jayati Ghosh affronta in un altro numero di India Indie: è un fenomeno che tocca ampie fasce della popolazione indiana, varcando i confini fissati dalla soglia di povertà ufficiale e anche i limiti delle caste. L’India, che la crescita demografica e quella economica starebbero rapidamente trasformando in una super-potenza stile Cina, anche se meno ambiziosa su scala mondiale, è alla ricerca di propri equilibri politici e sociali, mentre subisce, dentro, il contagio di un radicalismo religioso presente nella sua tradizione, anche se estraneo al messaggio gandhiano. Ne è una testimonianza la sequela di violenze anti-cristiani, con attacchi alle chiese e ai luoghi di culto.
Diseguaglianze, povertà, corruzione, intolleranza sono alcuni lati oscuri d’un Paese dalle dimensioni sub-continentali, che stenta a fare emergere la propria identità. Forse, il movimento di Hazare lo aiuterà a ritrovarne, almeno, le radici.
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