Wildt
Forlì, Musei di San Domenico
fino al 17 giugno
Adolfo Wildt (Milano, 1868 – 1931) è un genio del Novecento italiano. Ma poco conosciuto dal grande pubblico. La grande mostra che Forlì gli dedica per iniziativa della locale Fondazione Cassa dei Risparmi e del comune, è una scommessa: rendere popolare un artista tra i più sofisticati e colti del nostro Novecento. Nel percorso espositivo allestito dal parigino Wilmotte et Associès e dallo Studio Lucchi e Biserni, la grande arte di Wildt viene messa a confronto con i capolavori di maestri del passato che per lui furono sicure fonti di ispirazione. Da Fidia a Cosmè Tura, Antonello da Messina, Dürer, Pisanello, Bramante, Michelangelo, Bramantino, Bronzino, Bambagia, Bernini, Canova, e con i moderni con cui si è originalmente confrontato: Previati, Mazzocutelli, Rodin, Klimt, De Chirico, Morandi, Casorati, Fontana, Melotti. Ma anche con artisti come Klimt che a lui si ispirarono
Estraneo al mondo delle avanguardie e anticonformista, capace di fondere nella sua arte classico e anticlassico, Wildt è un caso unico in questo suo essere in ogni istante tutto e senza luogo. La sua incredibile eccellenza tecnica e lo straordinario eclettismo furono attaccati sia dai conservatori, che non lo vedevano allineato per i contenuti, ancora pervasi dal simbolismo, e per le scelte formali caratterizzate da richiami gotici ed espressionisti estranei alla tradizione mediterranea e all’arte di regime, sia dai sostenitori del moderno che mettevano in discussione la sua fedeltà alla figura, la vocazione monumentale, il continuo dialogo con i grandi scultori e pittori del passato, e la predilezione della scultura come esaltazione della tecnica e del materiale tradizionalmente privilegiato, il marmo, che lui sapeva rendere con effetti sorprendenti sino alla più elevata purificazione dell’immagine. Partendo dall’eccezionale nucleo di opere conservate a Forlì, dovute al mecenatismo della famiglia Paulucci de Calboli, protagonista della storia della città e della storia nazionale, e grazie alla disponibilità dell’Archivio Scheiwiller (editore milanese che per via familiare ha ereditato molte opere e materiali di Wildt), è oggi possibile radunare una serie di straordinari capolavori di Wildt e ricostruire il percorso più completo della sua produzione sia scultorea sia grafica. I temi da lui privilegiati, come quelli del mito e della maschera, gli consentirono di dialogare anche con la musica (Wagner) e la letteratura contemporanea, da D’Annunzio (che fu suo collezionista) a Pirandello e Bontempelli; così, da ritrattista eccezionale quale era, con i magnifici busti colossali di Mussolini, Vittorio Emanuele III, Pio XI, Margherita Sarfatti, Toscanini e di tanti eroi di quegli anni, egli ha saputo creare un Olimpo di inquietanti idoli moderni.
Il divisionismo. La luce del moderno.
Rovigo, Palazzo Roverella
dal 25 febbraio fino al 24 giugno
Il periodo che questa mostra illumina è compreso tra il 1890 e l’indomani della Grande Guerra. Negli anni in cui in Francia Signac e Seraut “punteggiano” il neo impressionismo, anche in Italia diversi artisti si confrontano con l’uso “diviso” dei colori complementari. E lo fanno con assoluta originalità. Sono sperimentazioni che consentono agli artisti che si affacciano alle soglie del Novecento di affrontare con tecnica spesso audace e coraggiosa le tematiche del nuovo secolo, dal mutato rapporto con la realtà agreste all’evoluzione della città moderna, dalle scoperte scientifiche agli incombenti conflitti sociali.
E’ la prima effettiva cesura rispetto agli stili del passato, prima delle avanguardie.
Nel divisionismo italiano i puntini e le barrette colorate dei francesi diventano filamenti frastagliati che invece di accostarsi spesso si sovrappongono. Ma ciò che è veramente diverso è lo spirito: qui la nuova tecnica pittorica aiuta a rappresentare, meglio di altre, l’intimità, l’allegria, lo spiritualismo, il simbolismo, l’ideologia anche politica. Ovvero i sentimenti, le passioni, le istanze che univano quella generazione di artisti. Pittura di luce, colore ma anche e soprattutto pittura di emozioni, quindi.
L’indagine valorizza figure come quella di Vittore Grubicy de Dragon e il suo divisionismo fatto di musica e di ricerca scientifica. Poi Plinio Novellini, icona del divisionismo tra Toscana e Liguria, prototipo di quelle diverse dimensioni territoriali che sono forse la maggiore ricchezza del movimento e che questa mostra mette, per la prima volta, in giusta evidenza. Poi i grandissimi: Previati, Segantini, Morbelli, Pellizza da Volpedo.
E ancora il ricordo della storica Sala Divisionista della Biennale del 1914. Per giungere alla straordinaria stagione divisionista di artisti come Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Gino Severini, Carlo Carrà e alla secessione romana. Ultimi, emozionanti bagliori di una vicenda artistica che va a concludersi, per sfociare nel rivoluzionario “nuovo” del Futurismo. Ed è l’avvio di un’altra grande storia tutta italiana.
Henri Cartier-Bresson
Roma, Palazzo Incontro
fino al 6 maggio
Quarantaquattro fotografie tra le più suggestive di Henri Cartier-Bresson, maestro della fotografia in bianco e nero. Capolavori unici “chiosate” dalle parole di intellettuali e amici come Pierre Alechinsky, Ernst Gombrich, Leonardo Sciascia, Ferdinando Scianna. Uno sguardo, il suo, sempre puntuale e profondo, attento e originale, sul mondo, i protagonisti, gli avvenimenti principali così come i piccoli, apparentemente insignificanti ma densi di vita, “attimi decisivi” che riusciva a cogliere con la sua macchina fotografica quando, come affermava, si riesce a “mettere sulla stessa linea di mira il cuore, la mente e l’occhio”. Un’occasione unica per contemplare e comprendere Cartier-Bresson e, grazie ai commenti, per approfondire i temi legati alla fotografia: il suo potere comunicativo, le sue peculiarità stilistiche, il suo ruolo. L’iniziativa è promossa dalla Provincia di Roma nell’ambito del Progetto Abc Arte Bellezza Cultura ed è organizzata da Contrasto, Magnum Photos e Fondation Cartier-Bresson in collaborazione con Civita.