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Cipro, l’ultimo muro nell’Europa (dis)unita

Un ultimo muro. Fermo, aspro e gravido di discussioni e prepotenze è ancora eretto nell’Europa (dis) unita che viaggia ormai come consuetudine a due velocità. È quello di Cipro, dove da un lato c’è un paese democratico, membro dell’Ue e dell’eurozona, con elezioni regolari. E dall’altro uno stato riconosciuto solo da Ankara, di fatto fuori dall’Onu perché abusivo e frutto della violenza dei militari.
 
La parte settentrionale dell’isola, ancora occupata da 50mila soldati turchi, si autoproclama Repubblica turcocipriota del nord, ma non è riconosciuta né dall’Onu né dall’Ue. Nel 1974 numerosi caccia militari turchi, in risposta a un tentativo di golpe greco, bombardarono l’isola ma poi la occuparono, perpetrando razzìe e violenze inaudite, con migliaia di cittadini costretti ad abbandonare le proprie abitazioni senza un perché e senza ad oggi farvi mai più ritorno. Da quel momento nulla è cambiato, anzi per i greco-ciprioti è iniziato un lungo calvario socioculturale culminato con il piano Annan, che nel 2004 proponeva una soluzione per loro svantaggiosissima, ma che la comunità internazionale presentò al mondo come “la migliore che si potesse auspicare”.
 
Non solo profezie dei Maya e crisi economica in Grecia in questo inizio di 2012, ma precisi rivolti sempre in chiave europea che potrebbero condizionarne definitivamente dinamiche ed evoluzioni. Nella seconda metà dell’anno proprio Cipro assumerà la presidenza di turno dell’Ue raccogliendo il testimone dalla Danimarca il 1° luglio. Una notizia che è stata salutata nel peggiore dei modi dalla Turchia che, non solo ha minacciato l’Unione europea di rompere le relazioni diplomatiche, ma nei fatti ha dato il (quasi) definitivo addio ad un’annessione almeno nelle intenzioni, visto l’ostracismo nei confronti di Nicosia. La posizione ufficiale di Ankara risale al novembre scorso, quando il vice premier Atalay ribadì di non volere Cipro al vertice della presidenza, come previsto dal regolamento dell´Unione. Dimenticando in un colpo solo che la Repubblica di Cipro è membro dell’Ue dal 2004, quindi gode del pieno e legittimo diritto di far parte della rotazione semestrale.
 
“Se i negoziati di pace (a Cipro) non saranno conclusi – disse il vicepremier turco – e l´Unione europea assegnerà la presidenza di turno a Cipro Sud la vera crisi sarà tra Turchia e Ue. Perché congeleremo le relazioni con Bruxelles”. Parole di fuoco, che si sommano alla politica neoimperialista condotta da Ankara in questi anni su quell’isola. Che ha subìto un violento attacco al proprio patrimonio artistico e culturale. Come gli scempi perpetrati dai turchi alle chiese cipriote di Agios Antoni, Profiti Ilias, Agios Sergios, Agios Andronikos. Luoghi di culto non musulmano situati nella parte di Cipro occupata, che al pari di altre chiese maronite, ebraiche e protestanti hanno subìto distruzioni di ogni genere. Gli invasori turchi non si sono limitati solo a sconsacrarle trasformandole in fienili, caserme, resort o bordelli, ma hanno anche devastato un patrimonio artistico di incalcolabile valore, come testimoniato dal volume fotografico “Religious monuments in turkish occupied Cyprus”, del professor Charalampos G. Chotzakoglu, docente di storia bizantina all’Open Hellenic University di Atene e ispiratore, assieme al Museo del Monastero di Kykkos, di una mostra itinerante ospitata anche in Italia dopo essere stata in Russia, Usa, Danimarca, Canada.
 
Gli intrecci culturali e politici, mai come in questo caso, si fondono con la contingenza legata alle risorse energetiche. Individuate proprio nella lingua di mare tra Cipro e Israele e già al centro di un accordo bilaterale tra Tel Aviv e Nicosia, nell’ottica di un Mediterraneo di pace, ma che ancora una volta ha fatto storcere il naso a Erdogan. Insomma non sarà un 2012 semplice. E non solo per gli errori della troika ad Atene.

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