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Dal Porcellum al Porcellinum?

Grazie alla sofferta (soltanto da coloro che credono che una buona legge elettorale sia indispensabile) sentenza della Corte Costituzionale, i partiti si sono gioiosamente e alacremente messi al lavoro. Adesso sì, che, oltre al tempo, hanno anche la voglia di elaborare dei progetti bellissimi, innovativi, di stampo europeo, da approvare “tutti insieme appassionatamente”.
 
Ma, forse, anche no. Primo: non esiste nessuna ragione per la quale non si possa e non si debba criticare la sentenza della Corte Costituzionale sulla inammissibilità dei referendum. In una democrazia esiste e viene tutelato il sacrosanto diritto di critica delle istituzioni che serve, in Italia, troppo raramente, persino a migliorarne il funzionamento. Neppure i giudici costituzionali sono al di sopra delle critiche. In materia di referendum, non soltanto elettorali, la loro giurisprudenza è particolarmente incerta, confusa, congiunturale e ancor più largamente migliorabile. Prima qualcuno si deciderà a introdurre le dissenting opinions, sulle quali costruire decisioni alternative, meglio sarà per tutti, compresi gli stessi giudici che saranno lieti di accollarsi le loro responsabilità individuali e magari di argomentare con estrema precisione le motivazioni giuridiche delle loro sentenze. O no?
 
Quanto ai partiti (no, non chiedetemi di precisare che, però, qualcuno il referendum lo voleva poiché i “qualcuno” erano parlamentari sciolti), dopo la gioia per lo scampato pericolo, hanno subito dato inizio ai balletti scaramantici di dichiarazioni stantie e ripetitive. Per essere originali, dovrebbero avere studiato. Abbiamo già visto tutto. Sono proposte vecchie e pasticciate. Anche i ballerini sono invecchiati e un po’ raggrinziti. Non è possibile attenderci nessun colpo di reni da nessuno di loro. Al massimo, come sta avvenendo, qualche giro di valzer. Per quanto tutto mentale, è un giro di valzer quello di coloro che sostengono, come se avessero fatto una grande scoperta, che, a seconda della legge elettorale si formeranno le coalizioni, e, naturalmente, viceversa.
 
Per ballare insieme e, magari, per governare insieme (ma non bisognerebbe, abbiamo sentito raccontare infinite volte come un mantra, discutere prima di programmi?), corteggiatissimi sono l’Udc e il Terzo polo, con grande invidia e irritazione dell’Italia dei valori e di Sinistra ecologia e libertà che, peraltro, preferirebbero ballare da soli. I più pensosi e lungimiranti degli strateghi politici di tutti i partiti, sono nel frattempo pervenuti ad un’altra grande scoperta: è importante collegare le leggi elettorali alla forma di governo che si preferisce.
 
Purtroppo, però, qualcuno di loro tira fuori dal cappello quel coniglio morto che hanno battezzato “premierato forte”. Altri non distinguono fra presidenzialismo Usa e semipresidenzialismo francese. Altri ancora non differenziano le diverse varietà di forme di governo parlamentare. Infine, avanzano sulla scena i cuochi di salse: tedesca più spagnola, francese più ungherese, australiana, tutte in grado di avvelenare anche il grandissimo Porcellum, la cui sorte la Corte Costituzionale non ha voluto fosse democraticamente decisa dai cittadini.
 
Naturalmente, anche se soltanto come specchietto per le allodole, qualcuno annuncia con toni da statista che bisogna differenziare (farne a meno sarebbe un suicidio) il nostro bicameralismo “perfetto”. Ho smesso di interrogarmi sul perché, godendo di un’istituzione “perfetta”, quasi sicuramente l’unica, la si voglia cambiare, differenziare, eliminare. Ho da tempo capito che è proprio la perfezione di quel bicameralismo che crea pericolosissimi squilibri nel funzionamento di istituzioni (e di partiti) imperfette. O no? Meglio “normalizzare” anche il Parlamento che abbiamo visto operare molto saggiamente e incisivamente negli ultimi anni. O no? Non prendo in considerazione l’idea, davvero peregrina che, chissà, il bicameralismo italiano, ultimo nel suo genere, sia in verità molto imperfetto e che la sua imperfezione si riverberi anche sul governo.
 
Terminato il balletto declaratorio, con i ballerini che assumeranno pose statuarie, nessuno avrà convinto gli altri a riformare il pregevole Porcellum. Qualche riformetta, di cui si parla, tipo: disegnare circoscrizioni più piccole, consentire l’espressione di un voto di preferenza, introdurre una soglia (25, 30, 35%) alla quale attribuire il premio di maggioranza (come se già i partiti non sapessero procedere alla formazione di coalizioni coatte), trasformerebbero il Porcellum in un non meno odoroso Porcellinum. Una spazzolatina potrebbero dargliela due altre modifiche che audacemente mi permetto di suggerire: candidature in una sola circoscrizione (non in tutte, come è attualmente) e obbligo di residenza da almeno due anni nella circoscrizione nella quale ci si candida.
 
Una piccola spada di Damocle sulla testa dei paracadutati e degli onnipresenti dirigenti sedicenti acchiappa voti. Il mio ottimismo in materia di magnifica legge elettorale futura è temperato da due considerazioni aggiuntive. La prima è che, comunque, tutti i partiti procederanno di loro spontanea volontà ad un ampio rinnovamento dei loro gruppi parlamentari. O no? Secondo che questo rinnovamento sarà improntato a due criteri. Andranno fuori tutti coloro che sono stati parlamentari per più di un certo numero (tre? quattro? Anche cinque spazzerebbe via non pochi elefanti e elefantesse) di legislature,”senza eccezione alcuna”. Entreranno soltanto coloro che saranno stati scelti attraverso elezioni primarie nelle loro circoscrizioni. O no?
 
Nutro assoluta fiducia che, non sapendo, non riuscendo, non volendo, eliminare il Porcellum e restituire potere agli elettori, i partiti perseguiranno il second best: fare scegliere agli elettori le candidature al parlamento attribuendone anche (tecnicamente è del tutto fattibile) il decisivo ordine di lista. O no?

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