“Si è certo ridimensionata la domanda di finanziamenti da parte delle imprese, per le sfavorevoli condizioni cicliche. Ma le indagini svolte presso banche e imprese segnalano anche un irrigidimento nelle condizioni di offerta dei prestiti. Le banche partecipanti all’indagine sul credito condotta dall’Eurosistema confermano che l’aumento dei tassi attivi e le tensioni nell’offerta riflettono soprattutto le forti difficoltà di raccolta sui mercati, oltre che i crescenti rischi di credito. A distanza di pochi anni le imprese si trovano nuovamente a fronteggiare un inasprimento delle condizioni creditizie…”
Tenuto conto che tutto ciò avviene all’interno di uno scenario dove la politica monetaria aiuta bilanci delle banche e del Governo italiano ma non delle imprese, spicca nella relazione del Governatore la totale assenza di soluzioni per il mercato reale che si sta inviluppando in una crisi durissima. Le proposte che il Governatore suggerisce per far fronte a questa crisi non sono infatti coerenti con la sua corretta analisi dello stato dell’economia reale.
Nel parlare di credito il Governatore si trova nell’ingrata situazione di non sapere come convincere le banche a prestare all’economia. Certo le sue parole non aiutano: “anche in questa occasione sarà essenziale la capacità delle banche di valutare attentamente il merito di credito, senza far mancare il sostegno finanziario ai clienti solvibili e meritevoli. Un adeguato e stabile volume di finanziamenti è essenziale per l’attività delle stesse banche…
Le banche dovranno dimostrare di saper svolgere bene la loro funzione di allocazione del credito, in una gestione sana e prudente, con acuita capacità selettiva. Lo richiede la loro stessa ragion d’essere; è cruciale che l’economia non entri in asfissia creditizia, deperendo e trascinando con sé anche le prospettive del sistema bancario. È al contempo necessario che si accresca l’impegno al riequilibrio dei bilanci e alla rimozione dei nodi strutturali che condizionano l’efficienza e la redditività del sistema bancario italiano.” In una recessione, tutti i bilanci, specie quelli delle piccole imprese, peggiorano nel merito di credito. Dare grande valenza retorica al merito di credito in questo momento significa incoraggiare a non prestare. Le parole hanno un peso.
Certo non mi potevo aspettare che dicesse alle banche di condividere le perdite delle imprese riducendo il costo dei finanziamenti, ma almeno un trattamento differenziato per l’atteggiamento verso le piccole imprese? Una volta sola viene menzionata nel discorso la piccola impresa: “la nuova regolamentazione conferma il trattamento favorevole dei crediti alle piccole e medie imprese già previsto da Basilea 2. Queste imprese possono in molti casi trovare opportunità di crescita dimensionale. Prestiti a imprese ben capitalizzate e valutate in grado di sfruttare economie di scala o di diversificazione richiedono, alle banche che adottano sistemi di rating interno, una minore copertura patrimoniale e possono quindi essere concessi a tassi relativamente contenuti”.
Briciole. Briciole che non tengono conto della drammaticità della situazione. Addirittura lo stesso Enria, allora Capo del Servizio Normativa e politiche di vigilanza presso la Banca d’Italia, oggi Presidente dell’Eba, rilevava come (audizione presso la Camera dei Deputati nel 2010): “in principio, l’impatto della riforma (Basilea 3, NdR) potrebbe pesare di più sulle PMI, che hanno una struttura finanziaria più fragile e dipendono maggiormente dal credito bancario. Ma la riforma conferma i meccanismi di Basilea 2 per contenere l’assorbimento patrimoniale dei crediti alle PMI.”
Nulla di nuovo dunque. La verità è che l’interesse per le PMI in questo paese continua a rimanere di benevola indifferenza.
Vi sono poi le proposte per la crescita. Certo Visco parla delle riforme e giustamente l’enfasi cade su quelle più rilevanti come la lotta all’evasione o alla corruzione, ma con che benefici di breve termine? Che le riforme (quelle giuste) servano, nessuno può negarlo, ma aiutano solo nel lungo termine. Manca totalmente la urgentissima analisi di come uscire dal dramma del breve termine in cui versa oggi l’economia italiana. Non uscirne subito implica: chiusura definitiva di imprese che potrebbero invece un giorno imporsi sui mercati, disoccupazione che potrebbe divenire permanente e infine l’acuirsi dei rischi di uscita dall’euro. Non basta questo per richiedere a alta voce una soluzione di breve termine assieme alle riforme?
In realtà il Governatore purtroppo sembra talmente legato al modello di austerità europea che pare rallegrarsi del fatto, implausibile comunque, che il rapporto Debito-PIL scenderà addirittura più rapidamente di quanto previsto dal nuovo Patto fiscale europeo (super dannoso secondo noi, a cui va data rapida attuazione secondo il Governatore) che lo vuole in calo del 3% del PIL ogni anno anno per 20 anni:
“con una dinamica reale modesta, dell’ordine dell’1 per cento, e con uno spread sui BTP decennali stabilmente al livello, comunque elevato, di 300 punti base, avanzi primari del 5 per cento del prodotto, come quello previsto per il 2013, garantirebbero una riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto maggiore di quella richiesta dalle nuove regole europee di bilancio.”
Ma tutto questo è fantascienza. La dinamica reale del +1% è rinviata (forse) al 2014 anche secondo le stime della Banca d’Italia citate e dunque gli avanzi primari del 5% non sono plausibili, esattamente come lo scenario di crescita. Il Debito pubblico sul PIL aumenterà.
Invece del mondo dei sogni alla Banca d’Italia spetta il ruolo di indicarci la realtà sull’economia e sulla efficacia della politica economica. Non aiuta che questa sia edulcorata. Nella relazione il Governatore sostiene come:
“il 2012 sarà un anno di recessione. Come abbiamo indicato negli scenari presentati nel nostro ultimo Bollettino economico, prevediamo una flessione del prodotto in media annua dell’ordine dell’1,5 per cento”.
Spiace rilevare nuovamente che si arrivi a giocare con i documenti interni. Il Bollettino economico citato diceva tutt’altro che una flessione dell’1,5%. Esso sosteneva come, a fronte di uno primo scenario ipotetico dove la crescita 2012 sarebbe stata del -1,5%, vi andava affiancato un secondo scenario più ottimistico in cui in “media d’anno il PIL diminuirebbe dell’1,2 per cento nel 2012”. Nulla veniva detto di quale dei due scenari fosse più ottimistico né realistico. Non era certo, quella del Bollettino, una previsione.
Apprendiamo dunque ora che prevarrà lo scenario pessimistico. Bene, anzi male. Avremmo gradito sapere dal Governatore come mai nel giro di un mese siamo passati dai dubbi alle certezze ancora più negative sul PIL e se questa presa d’atto non avrebbe richiesto magari una ri-analisi del contesto europeo di riferimento e di politiche fiscali che oltre alla decrescita accelerano disoccupazione ed instabilità.