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Il futuro di venti anni fa

Una parola per sintetizzare la politica italiana degli ultimi cinquant’anni?
Non c’è dubbio, è transizione. Una vera e propria maledizione per cultura e istituzioni forgiate alla scuola di Machiavelli. Prima la democrazia bloccata a causa della presenza del più rilevante partito comunista in occidente, poi l’anomalia di un
leader-imprenditore televisivo.
 
Nel mezzo l’incapacità di riformare la Costituzione e di sciogliere nodi fondamentali come il rapporto con la magistratura e con gli Enti locali. Dopo la caduta del Muro di Berlino, trascorsero alcuni anni perché il vecchio establishment, perduta ogni spinta propulsiva e linfa rigenerativa, fosse spazzato via.
Era il 1992. Sotto la spinta di inchieste giudiziarie e sentimenti antipolitici, fu varato un governo tecnico (presieduto da Ciampi) che di fatto cancellò i partiti sino ad allora al potere. La strada sembrava spianata per la vittoria dei post-comunisti guidati da Occhetto, ma poi spuntò Berlusconi e come andò a finire non c’è bisogno di starlo a raccontare.
 
Il ricordo di quanto avvenne venti anni fa non è uno sterile esercizio di memoria.
Formiche dedicò un approfondimento sui fatti del 1992 nel marzo del 2010. Due
anni fa segnalammo quel che oggi è evidente: un ricorso storico che renderebbe
orgoglioso Giambattista Vico. Scandali e inchieste hanno eclissato un sistema di
potere ormai totalmente inaridito. Il governo tecnico si è ripresentato puntuale e
non è da escludere per l’attuale premier la stessa carriera che ebbe l’illustre
predecessore (che, come è noto, salì le scale del Quirinale). Anche la vittoria della
sinistra alle elezioni sembra una possibilità concreta, eppure improbabile. Su
questa base, c’è chi tenta la scorciatoia di arruolare fra le proprie fila il salvatore
della patria (Monti), chi ne seleziona uno nuovo (magari il nuovo interprete del
ruolo che fu di Berlusconi) e chi scommette sulla rendita di una opposizione
populista e giustizialista (un dipietrismo riveduto e corretto). Persino la Lega – che
in questi ultimi anni ha governato e “occupato” a mani basse – cerca di rimettere
indietro le lancette dell’orologio.
 
Questa rincorsa al futuro, che sembra tanto un voler ripercorrere il passato in
una coazione a ripetere, è un estremo tentativo di fuggire a un destino che appare
segnato. Formiche non auspica né tifa per una fine della politica e dei suoi attuali
protagonisti, ci mancherebbe. Quel che qui vogliamo ribadire – anche a costo di
essere noiosamente ripetitivi – è che se non si colgono le ragioni dei fallimenti
che hanno connotato la politica italiana degli ultimi decenni sarà difficile non
continuare in nuovi fallimenti. I partiti servono, ma perché abbiano senso debbono
essere radicati nel Paese e nella cultura. Non possono essere sigle personalistiche
o frutto di idee di marketing. In Europa e nel mondo si ragiona sugli scenari
del 2050. Da noi si guarda alle Amministrative della prossima primavera, restando
completamente incerti e incapaci di visione per le elezioni del prossimo anno.
È lo spread fra 2050 e 2013 a spiegare perché la crisi politica italiana è lungi
dall’essere conclusa.
 
 
 
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