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L’importanza del dialogo

I primi chiari inviti al colloquio, alla conciliazione e alla comprensione da parte della Chiesa cattolica, contenuti nella dichiarazione Nostra aetate (1965), furono accolti da più parti nel mondo musulmano in modo costruttivo. Giovanni Paolo II trasformò le parole conciliari in gesti di buona volontà, che furono ben accolti da molti musulmani anche come segnali di amicizia. I “credenti in altro” si riconoscono ora piuttosto come “altri credenti”. Musulmani e cristiani scoprono, spesso con stupore, la serietà della fede altrui come stimolo per approfondire il proprio credo e la propria vita spirituale, al servizio della riconciliazione.
 
Con Benedetto XVI non era chiaro se il dialogo così avviato sarebbe stato interrotto. Non pochi vollero intendere in questo senso la sua prolusione di Ratisbona (2006). Nel frattempo si è fatto evidente che il pontefice, nell’ambito del dialogo interreligioso, vuole solo compiere il prossimo passo necessario: dalla percezione in linea di principio dei musulmani come “altri credenti”, passando per uno spontaneo conoscersi, fino ad un dialogo concreto e in cui si discute e si riflette su temi specifici, un dialogo che ha comunque come obiettivo la riconciliazione e una comune costruzione del mondo. Come temi del dialogo al momento si delineano soprattutto tre grandi aree di ricerca. In primo luogo, lo Stato. Si può, in quanto uomini di fede, approvare la libertà religiosa, la laicità dello Stato e una società pluralistica? I cristiani per secoli hanno faticato su questo punto, ma possono parlare, guardando all’inizio della storia ecclesiastica, in nome di un cristianesimo che mira a plasmare il mondo non con la coercizione, ma sulla base della testimonianza della Chiesa.
 
Soprattutto dopo i sommovimenti accaduti in alcuni Paesi a maggioranza islamica, bisogna dare un nuovo ruolo al dialogo cristiano-musulmano. Il magistero sociale cattolico offre modelli politici e sociali, cui possono dare la propria approvazione anche i non cristiani. Ma può una società plurale essere approvata con argomentazioni islamiche? I musulmani potrebbero pur sempre rimandare al fatto che il Corano stesso presuppone una libertà religiosa tra gli uomini. Certo, il Corano fa un appello alla conversione. Perciò, quelli che sono chiamati, devono anche avere la libertà di convertirsi a tutti gli effetti. Un altro tema di confronto è la profezia. Ultimamente molto spesso viene richiesto di chiudere una lacuna asseritamente pregiudizievole che il Concilio Vaticano II avrebbe lasciato aperta nei confronti dei musulmani: si parla in quella sede di Dio e della devozione islamica, ma non si fa menzione di Maometto. La Chiesa dovrebbe ora fare un riferimento alla sua figura. D’altra parte queste richieste sono fatte troppo alla leggera. I musulmani si aspettano infatti che i cristiani riconoscano Maometto come profeta, dal momento che l’islam vede in Gesù un profeta. Con ciò viene omesso che il Gesù del Corano non è l’alba della pienezza del tempio di Dio – il regno di Dio in persona – ma un proclamatore della fede in un Dio solo, come molti altri prima e dopo di lui. Riconoscere un tale Gesù sincronico è nei fatti una convalida dell’ispirazione complessiva del Corano. Sull’altro versante, il riconoscimento di Maometto come profeta sarebbe, dal punto di vista della teologia cristiana, disonesto. Così infatti, si deve riconoscere la verità di ciò che egli ha trasmesso. Ma in questo modo, non si potrebbe affermare che Gesù è figlio di Dio, poiché il Corano si oppone a ciò. Dal punto di vista cristiano, Maometto non fa ciò che ci si deve aspettare da un profeta, cioè preparare alla venuta di Cristo. I musulmani potrebbero restare delusi da questo diniego, ma deve essere reso chiaro che i cristiani sono seriamente chiamati a rinnovare l’espressione di quell’alta considerazione che la Chiesa prova nei confronti dei musulmani. Ogni uomo interessato alla fede riconoscerà volentieri che sulle fondamentali questioni non può essere raggiunta una frettolosa unitarietà.
 
Un altro tema del dialogo è infine quello della ragione. L’islam è la religione naturale, razionale, oppure è una forma di sottomissione volontaria, che non lascia spazio ad alcuna forma di esame? Entrambe le concezioni trovano spazio nel dibattito, ed entrambe contengono rischi analoghi. Presentandosi come la forma provata della razionalità, una religione può pretendere che tutte le fonti di conoscenza, le visioni del mondo e i modi di vita alternativi debbano essere rimpiazzati contro la loro volontà. Se una religione invece si considera inaccessibile dal punto di vista intellettuale, non si impegnerà in alcun modo per la crescita culturale personale, arrogandosi un’autorità non comprovabile che tende all’abuso. Posizioni razionalistiche, fideistiche, teistico-volontaristiche sono presenti tanto nella storia teologica islamica quanto in quella cristiana. Il Corano invita chi ne ascolta il messaggio alla riflessione, ma allo stesso modo incita alla fede; il suo messaggio non è un rimando alla storia sacra, ma il tentativo di restaurare una originaria, naturale chiarezza all’interno del significato della storia, secondo il modello della ripetizione ciclica degli eventi e attraverso significati determinati una volta per sempre.
 
La storia del pensiero islamico era in realtà assai variata e spesso era in dialogo produttivo con le filosofie del tempo; tanto i pensatori classici quanto quelli odierni rappresentano in maggioranza punti di conciliazione tra la pura razionalità e una sottomissione anti-intellettuale. Per questo l’islam può essere visto come religione che approva la ragione. Ecco perché l’islam, che conta ben più di un miliardo di fedeli, oggi offre alla cristianità una nuova possibilità di testimonianza. Benedetto XVI ha definito a Londra (settembre 2010) il dialogo interreligioso come un duplice movimento: “side by side” e “face to face”. Perché nel dialogo con gli “altri credenti”, i cristiani possono riproporre alle loro società le domande su Dio e sulla vita religiosa; ma i “credenti in altro” possono anche dischiudere e mostrarsi a vicenda i tesori della propria tradizione.
 
Tratto da Der Islam in der Welt von heute. Geschichte, Begriffe, Perspektiven, in Internationale katholische Zeitschrift Communio 40 (2011)
 
Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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