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Tangentopoli. “Noi sbagliammo ma ci fu una regia Fbi”

Venti anni fa era uno degli uomini più vicini a Bettino Craxi, ma dopo il crollo di quel sistema politico, Rino Formica per anni ha rimesso assieme tasselli sensibili, ha incamerato documenti, altri – mai visti – li tira fuori dal cassetto e ora può raccontare la sua storia di Mani pulite, una storia anti-conformista: «Certo che c´era una questione morale e noi socialisti non abbiamo capito che, dopo il 1989, quella questione sarebbe diventa una questione politica. Ma ci fu una regia internazionale e un concorso interno che ora credo di poter dimostrare».
 
Venti anni fa, con l´arresto di Mario Chiesa inizia la stagione di Mani pulite: è una ragionevole convenzione, oppure l´operazione potrebbe essere stata concepita prima? «Senta vogliamo fare cronaca o provare a fare un po´ di storia? Se dobbiamo parlare del dentista di Chiesa e rifare la cronaca di quei giorni, è quasi tutto scritto allora. Ma venti anni dopo, chi si ostina a rifare la cronaca, è in malafede». Nel 1992 – anche se fino ad allora magistrati e massmedia si erano “distratti” – la corruzione era pervasiva, si pagavano mazzette a chiunque. Una roba insopportabile… «L´intreccio tra politica, affari e partiti durava da 50 anni, ma la questione morale diventa questione politica quando cambia la storia: fino al 1989 Italia e Germania avevano presidiato la frontiera, ma con la caduta del Muro si comincia a temere per l´instabilità dell´Italia. La trasgressione consensuale delle leggi durata fino ad allora, crea all´interno di tutti i poteri fratture. Nei Servizi, nella Guardia di Finanza, nella polizia e nei carabinieri si avvertivano sintomi di lacerazione interna, movimenti preoccupanti».
 
Ne parla per sentito dire o per prove? «Guardi questa lettera inedita, me la scrive il Presidente della Repubblica il 19 febbraio del 1992: a me, ministro delle Finanze, chiede di poter ascoltare direttamente lui una rappresentanza del Cocer della Finanza: avvertiva che esistevano seri problemi anche lì dentro». Di quelle tensioni effettivamente si è poi saputo, ma da qui ad immaginare una regia per stroncare quei sintomi, ce ne passa… «Mi segua. Tra il 1990 e i11992 l´Italia rischia la disgregazione per cause endogene ed esogene. Con la mafia per anni era prevalsa l´idea che non valesse la pena combatterla frontalmente ma che invece fosse meglio contenerla, anche per la tranquillità del Mediterraneo. Ma negli anni ´80 la mafia supera le linee e col crollo dei regimi comunisti, alleandosi con le mafie dell´Est, diventa un serissimo problema di equilibrio internazionale. Sono anni nei quali il controllo delle testate nucleari tascabili diventa una questione esplosiva».
 
Onorevole Formica, la connessione con Mani pulite? «Negli Stati Uniti l´Fbi, preoccupata per la forte espansione della mafia e per i suoi propositi secessionisti e per i pericoli di disgregazione dell´Italia, prende il comando dei Servizi, con interferenza sui poteri della Cia. Realizza un collegamento importante col giudice Falcone. Mesi di fortissima tensione: il presidente Cossiga era preoccupatissimo». E Mario Chiesa? «Per riportare l´ordine”, esistevano tre città simboliche, tre possibili punti di attacco. Roma, punto debole della questione morale, capitale del “partito romano”, trasversale e corrotto. Una città inattaccabile, perla presenza del Vaticano. Palermo, dove da anni c´era un incrocio mafia-affari-politica, ma lì si preferì derubricare tutto ad una questione della corrente limiana di Andreotti, che per la sua politica mediorientale non era mai stato amato oltreoceano».
 
Lei vuol dire che Milano era più facilmente “attaccabile”. Non è un teorema? «No. Milano aveva un costo più basso, era la capitale morale e la città che si identificava col Psi, un partito “minore” di cui si poteva fare a meno». A Milano c´erano anche magistrati, piacciano o no, anche di una certa tempra, non trova? «No, do scassa importanza al pool. *** Quello dei magistrati di Milano fu un caso di doroteismo: il capo non voleva farsi bruciare e affidò le inchieste a magistrati di diversa impostazione, ognuno copriva l´altro. Resta eloquente quel che ha poi raccontato il giudice romano Misiani, di Magistratura democratica: in una chiacchierata Gherardo Colombo gli fece capire che la competenza di Milano sulle inchieste non era una questione giuridica». Formica, il famoso poker d´assi che lei disse di avere contro Di Pietro? «Volevo dire che era troppo debole per non avere le spalle coperte». La teoria delle manine e delle manone non è un po´ troppo autoassolutoria? «Sbagliammo anche noi. Ma chiedo: la classe dirigente venuta dopo si è rivelata migliore o peggiore? Il tasso di moralità si è alzato o abbassato? I più deboli socialmente stanno meglio? L´assetto istituzionale è stato riformato? Il debito pubblico? Credo non ci sia bisogno di dare risposte, le conoscono tutti».
 
Fabio Martini
 
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