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Vino nuovo in otri nuovi

«Non c’è partecipazione individuale e collettiva efficace alla formazione delle decisioni politiche nelle sedi istituzionali, senza il tramite dei partiti». Lo ha rilevato il presidente Napolitano, all’Università Alma Mater di Bologna, nella sua lezione dottorale. «Troppo facilmente la società civile punta il dito contro la classe politica: io di questo sono indignato». Lo aveva detto il presidente Monti nella sue repliche al voto di fiducia alla Camera dei Deputati.
 
Mai come in questo momento, la politica deve ritrovare fiducia e credibilità nel popolo italiano. È  un’operazione che chiama in causa, direttamente, i partiti, imponendo loro lo svolgimento di una seria attività di auto-rinnovamento. Si tratta di una strada che non può non essere battuta, in primo luogo, dai giovani italiani – che non sono alieni alla partecipazione sociale, semmai scelgono modalità più sotto traccia, che fanno poco notizia.
 
E, in questo periodo di rifiuto dei partiti, e di rifiuto della politica, si fa largo, poi, un pensiero – diffuso, peraltro, tra gli stessi dirigenti dei partiti -, che si può sintetizzare nel titolo di un articolo provocatorio di Dino Amenduni: “aboliamo le giovanili di partito”.  Si tratta di un pensiero, su cui riflettere per svolgere esercizi di sana (e doverosa) autocritica, che non può essere accettato nei suoi esiti. Le organizzazioni giovanili di partito hanno, storicamente, rappresentato un importante elemento di innovazione dell’offerta politica. Anzi, oggi, di fronte ad un nuovo inizio, appaiono quanto mai attuali e necessarie alla scrittura di una nuova narrazione collettiva. Le nostre organizzazioni giovanili – questa è la percezione che guida chi scrive nel suo far esercizio quotidiano di passione civile – debbono tornare a ri-armare la parola, ri-prendendosi il diritto di discutere e di progettare, senza «temere di ritrovarsi unite intorno a grandi principi e a grandi obiettivi e dire che sono comuni a tutti» – come più volte indicato da Giorgio Napolitano.
 
Un Paese che intenda davvero invertire la rotta, sin qui tracciata e interpretata, dovrebbe farsi carico, con generosità di futuro, di questi “laboratori di cultura civile”, non dimenticandosi mai – ciò vale anche per gli stessi giovani, non potendo rappresentare l’età di per sé un merito – che «nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti» (Lc 5, 37).

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