Cresce la sensibilità degli organi di stampa sulle condizioni difficili dei giovani nel mercato del lavoro nel contesto della attuale grave recessione.
I tassi di disoccupazione giovanile rilevati sono in crescita e questo di per sé deve costituire fattore di preoccupazione. Vero è, come è stato fatto rilevare anche sul Corriere della Sera da Della Zuanna, che questi numeri non sono pienamente rappresentativi dell’universo giovanile perché fanno riferimento soltanto a quella quota di giovani che attivamente cerca lavoro. I rimanenti – che non cercano attivamente lavoro – sono tanti e secondo alcuni ciò sminuirebbe il problema visto che “molti di questi studiano”.
Ebbene, andiamoli a vedere questi dati sugli inattivi italiani. E’ una galassia poco nota su cui l’Istat guidata da Enrico Giovannini ha di recente fatto luce in maniera inequivocabile, illustrando la situazione drammatica in cui versa, nel suo complesso e rispetto ai giovani. I dati fanno riferimento al 2010 ma si può dare per certo che nel 2011 saranno ancora più gravi.
Primo fatto. La dimensione. Vi erano, all’interno dell’ampia categoria di inattivi, nel 2010, 2 milioni 764 mila disponibili a lavorare ma che non cercano lavoro, un aggregato più ampio dei disoccupati (2 milioni 102 mila)! E’ il livello più alto dal 2004.
Secondo fatto, la dinamica. Il fenomeno va rapidamente aggravandosi. La percentuale degli inattivi sulla forza lavoro che non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare è passata dall’8,9% del 2004 all’11,1% del 2010. Dai 2,2 milioni di unità del 2004 si è passati ai 2,8 milioni del 2010.
Terzo fatto, la motivazione. Il 42% (circa 1,2 milioni di unità) degli individui classificati tra gli inattivi che non cercano lavoro ma sono disponibili è convinto di non potere trovare un impiego perché scoraggiato. L’incidenza degli scoraggiati è passata dunque nel biennio della crisi dal 38,1% del 2008 al 42,5% del 2010 e sale fino al 47% nelle regioni meridionali.
Quarto fatto, siamo in questo l’anomalia europea. Basterà citare le parole dell’Istat, chiarissime. “In Italia si trovano un terzo dei circa 8,2 milioni degli individui che nei paesi dell’Unione europea dichiarano di non cercare lavoro ma di essere disponibili a lavorare. In rapporto alle forze di lavoro, in Italia questo gruppo di inattivi è superiore di oltre tre volte quello Ue: l’11,1% in confronto al 3,5%. Si tratta di una peculiarità dell’Italia, dovuta soprattutto ai fenomeni di “scoraggiamento” “.
Quinto fatto, la composizione. Sono le donne a dominare nel gruppo degli inattivi, 16,6% delle forze di lavoro femminili, a fronte del 7,2% degli uomini. Ma, eccoci al punto, a tale fenomeno si associa la crescita dei 15-24enni che non cercano lavoro ma sono in ogni caso disponibili a lavorare in rapporto alle forze di lavoro giovanili (dal 21,6% del 2004 al 30,9% del 2010). Nel Mezzogiorno sono circa un quarto delle forze di lavoro, un risultato di oltre sei volte superiore a quello del Nord. Chiude l’Istat: “nel complesso, il 42% (circa 1,2 milioni di unità) degli individui classificati tra gli inattivi che non cercano lavoro ma sono disponibili è convinto di non potere trovare un impiego perché troppo giovane o troppo vecchio, di non avere le professionalità richieste o più semplicemente perché ritiene non esistano occasioni di impiego nel mercato del lavoro locale.”
Altro che giovani che studiano. Nell’attesa che si ponga rimedio credibile al nostro sistema di istruzione (specie ma non solo a livello di formazione tecnica) e concordando con Della Zuanna che non saranno certo i “contratti d’ingresso assai favorevoli per le imprese” a rappresentare la svolta, è evidente che il nodo è duplice e si rafforza in un abbraccio perverso: crisi e mercato nero. Combattere la crisi oggi significa mettere fine ad una emorragia che se non arrestata significa uscita definitiva dal mercato del lavoro e che, specie per i giovani, sarebbe un crimine.
Politiche economiche più espansive e supporto ad un servizio civile per i giovani ben finanziato, temporaneo e ben amministrato (come richiesto nel nostro appello che si chiude domenica prossima, firmate mandando mail se volete) possono non solo essere la miglior cura contro il mercato informale e nero, ma anche la svolta per ridare la speranza ai tanti scoraggiati, un aggettivo che possiamo e dobbiamo cancellare dal lessico nazionale.