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Dizioni e contraddizioni sul ruolo dello Stato

Ricordo che il dottor Eduardo Zimmermann si era appena ripreso da un imponente attacco febbrile, quando venne incaricato da una rivista della Capitale di scrivere un contributo sull’intervento dello Stato nell’economia. Memore di una casuale conversazione con Gadamer sulla spiaggia di Civitanova Marche, iniziò col purgare il pensiero dal pregiudizio, riepilogando il rapporto degli Zimmermann con lo Stato. Suo nonno, nato nella Praga asburgica, aveva visto la compassata Kakania trasformarsi nel Reich millenario.
 
L’attentato fatale a Reinhard Heydrich gli costò la reazione implacabile del Leviatano e suo figlio Manfred venne adottato dal nuovo Stato socialista. Dopo avere animato la primavera, Manfred pensò di attenuare la nemesi fuggendo a Buenos Aires. Lì conobbe Estela Suarez, che diventò de Zimmermann. Eduardo nacque subito dopo, in tempo per salutare il ritorno trionfale di Peron sull’Avenida 9 de Julio. Quando la giunta militare sostituì Isabelita, di Manfred si persero le tracce ed Eduardo si ritrovò a Hampstead presso una vecchia zia. Terminati gli studi inglesi, si sposò a Roma con una ragazza toscana. Suo suocero Wilfredo gli spiegò che l’arte di non farsi umiliare fu a lui molto utile quando, durante un colloquio, un dirigente di un conglomerato statale gli suggerì che poteva risparmiarsi l’esposizione del lungo curriculum, essendo sufficiente dichiarare il partito di appartenenza. Rispose cortesemente che non ne aveva ancora scelto uno, visto che gli risultava difficile rinunciare a tutti gli altri. Uscendo dal palazzo razionalista, Wilfredo ricordò le parole del fondatore dell’impero e del conglomerato: “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”.
 
La memoria di Eduardo tornò a Zurigo, dove nel giugno del 1994 aveva discusso con Elias Canetti di massa e potere. Il vecchio aforista gli parlò dei pericoli che nascono dall’incontro della prima col secondo. Un filo rosso, da che mondo è mondo, collega i due poli: la morte. Eduardo ricordò poi che quell’anno si congedò dalle cose terrene anche Karl Popper, che, prendendo il tè come un argentino sorseggia il mate, gli raccontava di quando Hayek sosteneva che affidare l’economia allo Stato significa comportarsi in base all’oroscopo. Ricordò anche che per Popper lo Stato deve agire come protettore dei deboli dai soprusi dei più forti e non come imprenditore. Avendo goduto della simpatia dell’autore della Società aperta, Eduardo sospettava che il suo pensiero allineato a quello del britannico di Vienna potesse essere il riflesso ermeneutico di un pregiudizio. Tuttavia, pur consapevole che il dubbio è uno dei nomi dell’intelligenza (o almeno così aveva sentito dire da un suo parente di Buenos Aires), nulla riusciva a convincerlo che lo Stato potesse essere un gestore efficiente dell’economia.
 
Lo Stato è un regolatore. Ma non un padre regolatore e programmatore della vita dei propri figli. Quando un padre regola e programma la vita dei propri figli, gli spiegava un collega di Melanie Klein, diventa un grande produttore di nevrosi, perché i figli si aspettano dal padre regole di vita e non una vita regolata. Si ricordò ancora che a Burnside Park Suzanne Stewart-Steinberg gli disse che, per De Sanctis, gli italiani, avendo difficoltà a tenere i piedi per terra, dimostrano un senso assoluto di libertà individuale, in contraddizione permanente con i limiti che lo Stato impone per sua natura. Alla fine, Eduardo concluse che il suo pregiudizio nei confronti dello Stato era troppo radicato. Ringraziò quindi il direttore della rivista, scusandosi di non essere in grado di scrivere nulla sul tema in questione.
 
Traduzione di Norah Acevedo
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