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Educazione per la democrazia

La filosofia, la letteratura, l’arte sono elementi essenziali per l’educazione dei cittadini democratici. Martha Nussbaum è forse la maggiore esperta delle discipline che si occupano dello sviluppo umano, dell’interezza della persona. A lei chiediamo “a che punto è la notte”: fino a che punto la democrazia, che è costruita e mantenuta in vita da uno spirito democratico, potrà resistere all’erosione e alla marginalizzazione sociale del pensiero critico, “perciò dobbiamo continuare a conbattere” perchè il trend si inverta.
 
Nel suo ultimo testo tradotto nel nostro Paese troviamo molti dei temi che caratterizzano il suo impegno, ma lo stile e il tono delle sue riflessioni si fanno più accorati, insomma sembra davvero che le sue parole siano un monito per una preoccupantissima deriva anticulturale e antiumanistica di tutti i sistemi di organizzazione sociale nel mondo.
La democrazia non può essere data per scontata. La sua stabilità richiede non solo buone istituzioni ma anche una cultura pubblica in cui i cittadini deliberano rispettando gli altri e con prudenza, con una conoscenza accurata della storia e dei fatti economici, e con una capacità di immaginare le condizioni di tante persone diverse da sé. Senza queste capacità, ci resta solo il pensiero gregario della burocrazia, che diventa facilmente strumento di qualsiasi ideologia o tirannia.
 
Oggi abbiamo quasi la triste certezza che tutelare questo pensiero critico e la libertà di scelta delle persone non sia più l’obiettivo dei sistemi politici, democrazie comprese.
Non penso che le cose siano così negative. Nei Paesi Bassi stanno avanzando le idee di educazione liberale, e il ruolo del pensiero filosofico nella cultura pubblica resta importante; in Corea del Sud le scienze umanistiche godono di grande rispetto, e lo spirito del dissenso critico contribuisce ad una vibrante cultura democratica; in Irlanda, le iscrizioni alle facoltà umanistiche sono alte, e in crescita; negli Stati Uniti, nonostante alcuni tagli qua e là, il sistema di educazione liberale resta robusto. Perciò dobbiamo continuare a combattere. Se non lo facciamo, questo stato di cose peggiorerà.
 
Gli eventi politici dell’ultimo quindicennio ci hanno preparato per un ipotetico “scontro delle civilità”, trascurando che lo scontro è già “dentro le civiltà”, come afferma proprio il titolo di uno dei suoi libri.
In effetti ciò che sostenevo in quel libro era che l’intera idea di uno “scontro di civiltà” era un mito pericoloso e dannoso. Piuttosto vediamo che in ogni società ci sono persone che vogliono vivere nel rispetto reciproco, e altre che cercano il conforto di un’unica
ideologia dominante. Ad un livello più profondo c’è un conflitto in ogni persona, tra le forze della compassione e del rispetto e le forze dell’angoscia e dell’aggressione. Abbiamo bisogno di un sistema educativo che aiuti le persone a vincere questo conflitto interiore.
 
Mandare un figlio a studiare le materie umanistiche significa inviare un martire al patibolo della disoccupazione e più ancora al patibolo della consapevolezza di diventare una nullità politico sociale, di non poter mai avere un ruolo dignitoso negli ambiti del potere e della conduzione pubblica. Pensa che l’Italia di Dante (a cui Lei dedicò il titolo del Suo straordinario Love’s knowledge) meriti un destino del genere?
È difficile per una nazione passare da una formazione universitaria incentrata su una sola materia ad un sistema di arti liberali, ma molte università di spicco olandesi stanno facendo proprio questo, e con grandi risultati. Questa credo sia la strada che l’Italia dovrebbe seguire: integrare gli studi umanistici nella formazione di ognuno, progettando corsi che ogni cittadino dovrebbe seguire. Alcune di queste cose possono essere fatte nelle scuole superiori, ma un certo livello di rigore scientifico e approfondimento è possibile soltanto nelle università. Vorrei anche sottolineare che gli studi umanistici costano molto poco. La principale spesa sono i salari degli insegnanti e ricercatori, e si tratta di un ammontare piccolo rispetto a quello riservato agli ambiti scientifici. E poi in quest’era di pubblicazioni on-line, gli studenti hanno sempre meno bisogno di acquistare libri. I politici dovrebbero dunque vergognarsi di usare l’argomento economico per giustificare i tagli a dipartimenti che hanno costi così bassi, eppure producono così tanto.
 
 
* di Fabrizia Abbate
Docente di Estetica e teoria dell’oggetto estetico
presso l’Università di Roma Tre


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