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Il valore legale della laurea? Conta quello “reale”

L’Università italiana è immersa, da oltre un decennio, in una fase di profondo cambiamento strutturale e forte innovazione culturale. Trasformazioni che hanno interessato la cornice normativa, il piano organizzativo e didattico in modo così rapido da rendere necessaria una riflessione sui cambiamenti dell’idea stessa di Università, della mission del sistema nel più complesso processo di innovazione.
Non ultimo, l’attuale dibattito sul valore legale del titolo di studio. Dibattito che, come è emerso proprio ieri in un convegno su “Università e imprese per l’occupazione”, è un tema di fatto subordinato all´accesso alle professioni così come alla partecipazione agli esami di stato.
 
La proposta di abolizione del valore legale del titolo di studio, già sostenuta dal precedente Governo, viene spesso supportata dalla comparazione con il contesto internazionale e, soprattutto, da chi ritiene che tale abolizione aumenterebbe la competizione tra gli atenei permettendo agli studenti di scegliere le università con una migliore qualità della didattica, generando così anche una maggiore competitività tra studenti e laureati.
Per lo stesso motivo tale abolizione costringerebbe a seri criteri di valutazione e conseguenti classifiche sulla qualità delle Università. Ma tutto questo sta già avvenendo!
 
Non c’è alcun dubbio che il sistema universitario debba essere sottoposto a una rigorosa valutazione dei processi e dei cambiamenti, sotto tutti i punti di vista, sia della ricerca che della didattica, ma anche dell’apparato burocratico e amministrativo.
Classifiche e valutazioni sono già in atto e l’obiettivo non è (e non deve essere) quello di creare atenei di serie A e altri meno qualificati e quindi meno qualificanti. L’obiettivo è accreditare tutto il sistema affinché la qualità sia garantita, prescindendo dalle sedi, dalla grandezza dell’ateneo e dalla vocazione didattica e scientifica. Dobbiamo chiederci profondamente quale tipo di competizione si auspica per gli atenei, forse potrebbe giocarsi sul ruolo della didattica e della ricerca, sulla qualità della produzione scientifica, sulla trasparenza dei processi, sulla comunicazione pubblica delle performance.
 
Una riflessione che deve indurci necessariamente a mediare tra valori universali e contesti sociali. Non vi è dubbio che la moderna Università ha bisogno, più che in passato, di dialogare con il mercato e tutti gli stakeholders del sistema, che sappiamo essersi moltiplicati nella società contemporanea; pensiamo ad esempio al rapporto che le università intraprendono oggi con il mondo delle imprese, con i media, con la politica, oltre quei pubblici che tradizionalmente consideriamo “diretti”. D’altro canto, non dobbiamo distogliere lo sguardo dalla mission, dal ruolo e dalla funzione di tradizione e trasmissione culturale alle nuove generazioni.
Il “valore legale del titolo di studio” dovrebbe essere garanzia del valore reale dello stesso.
 
La competizione per la creazione forsennata di nuovi atenei, non è la soluzione per il basso numero di laureati che abbiamo in Italia, né la suddivisione tra atenei orientati esclusivamente alla didattica o alla ricerca. L’Universitas, per essere tale, deve presentare delle caratteristiche ben precise sotto tutti i punti di vista, sia in termini di insegnamento che di produzione scientifica del sapere, altrimenti non stiamo parlando di Università.
 
Il dibattito incontra ovviamente difficoltà e pareri contrastanti, specie in un momento in cui le istituzioni pubbliche in generale vivono un calo reputazionale forse senza precedenti, inflitto da una politica che per prima non ha creduto nell’Università e non ha capito che è da qui, e non solo, che un paese riparte per rialzarsi; i continui tagli delle risorse e il disinvestimento in questo senso sono l’espressione più emblematica di questa politica.
 
C’è da riconoscere, però, un elemento qualificante nella scelta, da parte del Ministero, di questa consultazione on line sull’opinione dei cittadini circa il tema del valore legale del titolo di studio.
Consultare i destinatari immediati delle scelte politiche sembra un principio ovvio e democratico, ma chi ha vissuto l’Università nell’ultimo decennio sa perfettamente che non è stato sempre così. Voler ascoltare i giovani, gli studenti e i laureati è sintomo anzitutto di responsabilità e coinvolgimento nelle scelte politiche. C’è da augurarsi, chiaramente, che questa iniziativa venga supportata, anzitutto, da una strategia di comunicazione che punti ad un’adeguata visibilità della consultazione on line e, quindi, anche da una massiccia partecipazione dei cittadini.
 
 
Raffaele Lombardi
Dottorando di ricerca presso il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale
della Sapienza Università di Roma.


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