La leva fiscale scatena un doppio attacco nei confronti del Governo. Il monito, diretto verso uno dei punti chiave della manovra risanatrice del nuovo governo, sopraggiunge dalla Corte dei Conti e dall’Authority.
Mentre la prima accusa l´esecutivo di mantenere un livello di pressione fiscale troppo elevato, il quale costringe il contribuente fedele a pagare fino al 45% di tasse, la seconda punta il dito su alcuni degli aspetti del decreto sulle liberalizzazioni e su quello “Salva Italia”.
La Corte dei Conti
Il presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, in un´audizione in commissione Bilancio alla Camera, ha infatti sottolineato che “ci avviamo verso una pressione fiscale superiore al 45% del prodotto, un livello che ha pochi confronti nel mondo”.
Il carico della pressione fiscale pesa eccessivamente sui “contribuenti fedeli”. Se a questa aggiungiamo un livello di evasione “dell´ordine del 10-12% del prodotto, ne consegue che il nostro sistema è disegnato in modo tale da far gravare un carico tributario sui contribuenti fedeli sicuramente eccessivo”, ci tiene a ribadire il presidente.
Indispensabile, per il presidente della Corte dei conti, anche “l´evoluzione dell´impegno dell´amministrazione finanziaria, oggi essenzialmente focalizzato sul controllo repressivo successivo all´adempimento, verso un ruolo persuasivo e proattivo già nella fase della dichiarazione”. In questo modo, “senza introdurre negative ipotesi di concordato preventivo e lasciando comunque alla responsabilità del contribuente il contenuto della dichiarazione, sarebbe possibile confrontare la coerenza degli imponibili con le informazioni di cui oggi l´amministrazione dispone, o può agevolmente disporre: dati degli studi di settore, manifestazioni di consumo e di agiatezza, incroci clienti e fornitori, rapporti finanziari”.
L´Authority
Il Garante della privacy, da parte sua, attacca le nuove norme introdotte dal governo in materia fiscale, per il quale darebbero eccessivo potere al ministero dell´Economia nei controlli fiscali provocando “strappi forti allo Stato di diritto”.
L´Authority è tornato così a puntare il dito contro le misure contenute nel dl Sviluppo dello scorso maggio e nel ´Salva Italia´ di dicembre che hanno “limitato fortemente” l´applicabilità del Codice della privacy in una prima fase alle persone giuridiche e in una seconda fase “escludendola radicalmente”. In occasione del discorso di chiusura del settennato di mandato alla guida dell´Autorità, Pizzetti ha osservato ancora una volta come “scegliere questa strada sia stato un errore”.
“Finora – ha detto – noi potevamo assicurare alle imprese e alle persone giuridiche un alto livello di protezione. Oggi tutto questo non è più possibile. Solo gli strumenti ordinari del diritto e l´adozione di misure adeguate potranno difenderle dallo spionaggio industriale e dai danni conseguenti alla perdita di dati. Accorgimenti non sempre facili da adottare da parte delle imprese, specie quelle di piccole o piccolissime dimensioni”.
Anche i giovamenti relativi alla presunta minore onerosità delle attività – ha aggiunto – sono assai limitati perché ogni volta che le imprese trattino dati di persone fisiche, devono comunque rispettare la normativa di protezione dei dati. Dunque – ha evidenziato Pizzetti – è ragionevole chiedersi se davvero si è operato con sufficiente ponderazione”.
Pizzetti spiega infine che “è importante che si consideri questa una fase di emergenza dalla quale uscire al più presto. Se così non fosse – aggiunge – anche lo spread fra democrazia italiana e democrazie occidentali sarebbe destinato a crescere”.
v.c