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Nuovi percorsi tra imprese e pubblica amministrazione

Il dibattito sul welfare aziendale, rilanciato dai recenti interventi di Alberto Brambilla e Dario Di Vico sul Corriere della Sera, segnala un cambiamento e un’opportunità nell’ambito della riforma del welfare italiano. Se per rilanciare la crescita è necessario razionalizzare la spesa pubblica e sostenere l’investimento delle imprese, per aumentare il benessere delle famiglie bisogna rilanciare i loro consumi di beni utili e necessari, incrementando il reddito che hanno a disposizione.
 
Per esempio, se il governo decidesse di portare a 10 euro il valore detassato dei buoni pasto (fermo da oltre 15 anni a 5,29), consentirebbe alle imprese di aiutare i propri dipendenti a ridurre il costo della pausa pranzo e, di riflesso, permetterebbe alle famiglie di disporre, ogni anno, quasi di una mensilità in più: una buona notizia, soprattutto in tempi di crisi, sia per le famiglie che per gli esercenti. Ma se le imprese potessero contare su meccanismi di defiscalizzazione più ampi e mirati di quelli attuali, sarebbero in grado di liberare molte altre risorse e giocare un ruolo ben più attivo in un sistema di welfare in difficoltà, come quello italiano, che è prevalentemente pubblico (spesso inefficiente) o “familiare” (per natura contenuto).
 
Se oggi i dipendenti, pubblici e privati, hanno i buoni pasto in sostituzione della mensa, potrebbero ricevere dall’azienda anche dei buoni per il trasporto, dei pacchetti salute per le cure mediche essenziali, dei voucher per le vacanze o per la scuola dei figli, ecc.; in altri termini beni e servizi primari, che per le aziende sono costi deducibili, potrebbero costare anche meno di quanto costerebbero alle famiglie e non costituiscono reddito per il dipendente. Ecco dunque lo spazio per una sussidiarietà imprenditoriale, creativa, efficiente, che va nella direzione di un total reward con ottica familiare. Anche lo Stato potrebbe avvalersi di questa nuova imprenditorialità per rendere più snelli ed efficaci i propri interventi di politica sociale.
 
Certamente la leva fiscale è fondamentale, ma le sole defiscalizzazioni non bastano quando si tratta di far decollare nuovi settori: è indispensabile un’azione di coordinamento che accompagni la nascita e la strutturazione delle dinamiche competitive dei mercati. Le centrali pubbliche di acquisto – Consip per intenderci – possono svolgere questa funzione, con eccellenti risultati in termini di trasparenza, di qualità, nonché di risparmio per le stesse stazioni appaltanti. Esiste, mai come ora, l’opportunità di ripensare e modellare un sistema di welfare imprenditoriale, aperto all’innovazione, capace di valorizzare le sinergie pubblico-privato, che si avvale delle competenze di operatori specializzati e genera un circolo virtuoso: più consumi, più produzione, più occupazione, più crescita; più benessere per le famiglie. Ma finché la soglia della deducibilità si ferma a 258,25 euro per dipendente o il buono pasto rimane fermo al valore che aveva quando ancora c’era la lira, il volano dello sviluppo non parte.
 
Prima ancora che un problema di natura contabile o finanziaria per l’erario, è un problema di strategia e di priorità per il governo. Le compatibilità fiscali vanno certamente misurate prima di qualsiasi decisione, ma la corretta valutazione richiede un’analisi dinamica capace di valorizzare adeguatamente, anche in termini economici, i benefici complessivi delle diverse opzioni strategiche. Il rischio, altrimenti, è di non avere uno Stato più efficiente, ma meno Stato, meno imprese, meno sviluppo, meno benessere.
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