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Quando il sole non splenderà più su Berlino

Che tirino venti di guerra in oriente non può stupire. Ed è facile capire perché. Basta pensare alla repentina ascesa dell’influenza araba nel xxi secolo per cogliere quanto l’occidente sia stato dominato per secoli da una minaccia fantasma. Gli interessi petroliferi di sempre e quelli attuali, relativi alla sicurezza nucleare, non fanno che accrescere siffatta inesausta leggenda diplomatica, dai contorni complessi e imprecisati.
 
Proprio oggi abbiamo appreso che il Parlamento di Teheran ha bloccato la vendita di greggio all’Unione europea, addirittura anticipando l’embargo di Bruxelles. Una preferenza che è conseguenza logica dell’obiettivo espansionistico di proliferazione atomica del Paese e ugualmente dello spostamento del polo d’attrazione generale nell’area afro-asiatica.
 
L’Iran intende respingere così l’ostile minaccia dagli Stati Uniti alle sue transazioni finanziarie, confermando una guerra fredda che procede con rapida coerenza almeno dalla rivoluzione khomeinista del 1979. D’altronde, il presidente Obama è stato abbastanza chiaro nel suo discorso sullo stato dell’Unione, non escludendo alcuna opzione, neanche quella militare, contro Al Kamanei. Ciò detto, sebbene adesso l’urgenza sia divenuta la Siria, avviluppata nella terribile repressione di Stato, dopo il faticoso esito fallimentare del negoziato russo.
In ogni modo, gli equilibri del pianeta sono cambiati repentinamente e si sono spostati ancora una volta in una diversa parte del mondo.
 
Seppellita la Primavera araba nella palude delle velleitarie speranze nordafricane, adesso la regia del presente è nelle mani dell’antico impero persiano. La sua forza è il governo autoritario di Ahmadinejad; la sua arma segreta è la velocità d’azione e la repentina risolutezza decisionale. Virtù preziose e mancanti a una democrazia mediterranea in panne, incapace di assumere un compito politico adeguato ad una situazione tanto irregolare. Il destino di Obama sembra avvicinarlo alla rielezione, sotto la spinta comprensibile dei moderati repubblicani, i cui interessi mancano di vera rappresentanza. Persuadendo gli elettori che potrà condurre da conservatore l’egemonia del Paese nelle relazioni oceaniche, Obama potrà sconfiggere da democratico il radicale populismo reazionario di Romney.
 
Il rischio nostro è, invece, che, finito il tempo in cui il sole splendeva sopra Berlino, saremo radicalmente estromessi dai giochi economici e politici internazionali, avvitati attorno alla diatriba interna all’unione monetaria, uccisi dalla potenza opaca del debito pubblico e dei mastodonti bancari.
 
Non a caso l’Iran guarda con favore crescente a Russia e Cina, futuri alleati economici e militari contro Israele e America. Mentre il puzzle lacunoso del mondo aspetta inutilmente al capolinea il contributo di un Vecchio continente strozzato da archeologia, cinismo e faziosa sterilità.


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