Skip to main content

Finanziamento dei partiti, la decisione ai cittadini

La fiscalità sull’impresa ha bisogno di radicali modifiche. Dobbiamo pensare a una fiscalità che differisca il carico d’imposta dei primi anni di vita dell’impresa per darle modo di consolidarsi. Più in generale bisogna pensare ad una fiscalità che stimoli la crescita e lo sviluppo dell’impresa e al tempo stesso incoraggi la separazione dell’impresa dalla persona dell’imprenditore. Finché il reddito resta nell’impresa, l’aliquota dell’imposta deve essere molto bassa. Secondo me non dovrebbe superare il 20%, ma potrebbe essere addirittura inferiore se la base imponibile fosse costituita dal reddito prima dell’imputazione degli interessi passivi. Per questa via si otterrebbero due importanti risultati: si contrasterebbe l’evasione fiscale e la poco commendevole abitudine di molti imprenditori di caricare sull’impresa spese che sono veri e propri consumi di famiglia; si incoraggerebbe l’autofinanziamento che è la premessa dello sviluppo dell’impresa.
 
Insomma bisogna operare una distinzione molto netta tra redditi dell’impresa e reddito dei suoi proprietari. Finché resta nell’impresa, finché non diventa un’entrata dei proprietari, il reddito deve avere un trattamento molto leggero anche perché resta pur sempre esposto al rischio proprio della gestione. Il fisco deve essere strumento per stimolare la partecipazione. È una questione importantissima che ci porta al cuore del grande progetto-Paese.
Ma come possiamo promuovere la maggior partecipazione dei cittadini? Che cosa possiamo fare per indurre tutti noi a riappropriarci di quegli spazi che inopinatamente e pigramente abbiamo lasciato allo Stato? Non ho ricette sicure. Ma credo che si possa cominciare, intanto, facendo sì che le decisioni in materia di spesa pubblica vengano affidate – ogni volta che ciò sia possibile – ai cittadini o alle loro organizzazioni, sottraendole pertanto alla burocrazia e alla politica. Lo strumento più efficace consiste nell’accordare un credito di imposta ai cittadini che donano risorse finanziarie a soggetti che perseguono finalità ritenute d’interesse generale, iscritti in appositi elenchi e sottoposti a controlli al tempo stesso semplici e rigorosi. Il credito d’imposta dovrebbe essere strutturato in modo che i cittadini lo possano recuperare in tempo reale rispetto al momento della donazione. La sua entità dovrebbe essere variamente dosata in funzione del “grado” d’interesse generale che riveste il soggetto beneficiario. Essa può andare, ad esempio, dal 20-25% fino al 95-98% dell’erogazione, qualora questa sia destinata a soggetti impegnati in attività che in ogni caso dovrebbe svolgere lo Stato o che lo Stato ritiene comunque di dover più o meno integralmente finanziare. Per fare un solo esempio pensiamo al finanziamento della politica. Se si ritiene, come io ritengo, che il costo della politica debba, entro certi limiti, far carico alla finanza pubblica, è preferibile adottare un meccanismo di questo tipo, che lascia ai cittadini la scelta e ne promuove il coinvolgimento nella vita dei partiti, piuttosto che affidarsi alle attuali procedure che, nella loro opacità, sembrano fatte apposta per allontanare sempre più il cittadino dalla politica.
 
A questo proposito abbiamo predisposto un disegno di legge d’iniziativa popolare (per il quale occorre raccogliere 50mila firme) che prevede l’abrogazione delle leggi sul finanziamento dei partiti e la loro sostituzione con un credito d’imposta accordato ai cittadini che donano risorse ai partiti. Il credito è pari al 95% della somma versata con un massimo di 2mila euro. Se andrà in porto, questo meccanismo farà scattare una sana emulazione tra i partiti e darà una forte spinta al loro rinnovamento come condizione per acquisire il consenso e la fiducia dei cittadini.
 
Estratto dalla conferenza Non rassegnamoci al declino per gentile concessione dell’autore
 


×

Iscriviti alla newsletter