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La forza del progressismo…

Il dibattito sul rapporto fra Partito democratico e socialdemocrazia europea ha riconquistato la ribalta della stampa nazionale. Una discussione che già nel 2010, sulle pagine del Foglio, è stata animata anche dalle voci di Giorgio Tonini, Piero Fassino, Mauro Ceruti e Claudio Cerasa. Penso sia un bene che questo dibattito sia ancora vivo, e spero che continui, nella forma di un confronto aperto – che nel Pd non manca – e con toni rispettosi delle diverse sensibilità.
 
Dibattere è giusto, ma un dibattito eccessivamente astratto e che si trascina troppo a lungo senza portare ad alcuna conclusione rischia di diventare stucchevole. Alla fine occorrono concretezza e determinazione nell’agire. Conviene, su questa questione, partire da un dato reale: le più rilevanti famiglie politiche europee sono sostanzialmente quattro (Ppe, Pse, Alde e Verdi), e in nessuna di esse, per come sono attualmente, il Partito democratico vede rispecchiata la varietà delle sue molte anime. Del resto anche in Europa ci sono forze progressiste che non si identificano con i socialdemocratici. Ma l’asse portante dello schieramento europeo di centrosinistra sono i socialisti del Pse. Francamente mi è oscuro il motivo per cui un cattolico italiano, militante del Pd, non possa stare nel Pse, in cui ha avuto un ruolo essenziale anche il cattolico Delors. Ha ragione Stefano Cappellini quando afferma che il Pd è un grande partito, e come tutti i grandi partiti ha al suo interno varie componenti. Ed è abbastanza naturale che in un dato periodo una di queste componenti possa prevalere sull’altra, senza che questo costituisca scandalo. Basta guardare l’esempio del Labour party in Inghilterra, dove per anni ha prevalso la linea di Tony Blair, mentre ora si impongono le posizioni diverse del nuovo segretario Ed Miliband.
 
Nello scenario europeo che abbiamo decritto sopra, un grande partito autenticamente progressista dovrebbe porsi con coraggio alla guida di un indispensabile processo di cambiamento. Si tratta di un passaggio quanto mai necessario. Le forze socialdemocratiche europee devono avere il coraggio di ripensare se stesse, di rimettersi in gioco sforzandosi di utilizzare categorie nuove per leggere la realtà del presente, di oltrepassare i confini delle vecchie famiglie politiche per sviluppare, su queste basi, strategie innovative. Già dal 2008, del resto, i progressisti europei si sono avviati lungo questo cammino, e proprio a questo scopo si sono dotati di uno strumento nuovo, la Feps (Foundation for european progressive studies), il cui principale obiettivo è appunto quello di coniugare la tradizione socialdemocratica con la necessità di dare continuo impulso al progetto di integrazione europea, di superare i particolarismi dei riformismi nazionali per aprire la strada a un progressismo che sia davvero europeo.
 
Il Partito democratico, anche al di là dello specifico progetto politico-culturale della Feps, forte dei numeri importanti che può vantare all’interno del Parlamento europeo, ha l’opportunità di farsi artefice di un progetto di trasformazione del socialismo europeo in una forza politica democratica e progressista di dimensioni continentali, in grado di agire su questo livello e quindi di meglio confrontarsi con la sfida della crisi economica internazionale. Mai come in questi mesi, infatti, è apparsa evidente la strettissima interconnessione esistente fra i due piani, europeo e nazionale, delle scelte di politica economica e sociale, e mai come ora si è rivelato indispensabile attuare un’azione di contrasto della crisi e dei suoi effetti che vada oltre quanto può essere fatto individualmente dai singoli Paesi membri dell’Ue.
 
Durante la sua pur travagliata esistenza, il progetto di integrazione europea non ha vissuto un periodo di crisi difficile quanto quello attuale, in grado, nel peggiore degli scenari, di mettere in discussione la sua stessa esistenza. Si tratta di una crisi che riguarda essenzialmente la vita delle persone, le loro condizioni presenti e future, e che è giunta ad uno snodo molto delicato: o prevale l’interesse per la persona o prevale quello per il denaro. Se vista in questi termini, essa si pone come una sfida culturale, politica, economica e sociale. Solo la forza delle democrazie può promuovere una crescita più equa. Ma oggi sembra che la democrazia per il popolo abbia lasciato il posto alla tecnocrazia senza popolo e che il vero scontro di civiltà sia tra economia e democrazia. In questo difficile contesto le forze progressiste europee hanno una grande occasione: ripristinare il primato della politica, della società. Per fare ciò è però necessario ripensare e rinnovare i vecchi schemi, gli approcci e gli strumenti classici del centrosinistra, certo preservando e semmai rafforzando i suoi valori tradizionali – giustizia sociale, eguaglianza e solidarietà – per elaborare una strategia volta da un lato a superare la crisi finanziaria ed economica e dall’altro a rilanciare la crescita nel continente europeo.
 
Su questi temi è già in atto un processo di convergenza fra le diverse forze progressiste europee, e pur con tutte le ovvie differenze riconducibili ai singoli contesti nazionali, possono essere individuati diversi punti di contatto fra le proposte elaborate dal Partito democratico e Italianieuropei nel Piano nazionale di riforma (Pnr) alternativo a quello del governo Berlusconi dello scorso anno e quelle contenute nei documenti della stessa natura elaborati dalla Spd e dai Verdi in Germania, o con quelle incluse nel programma del candidato socialista alle elezioni presidenziali francesi François Hollande, e che vanno dall’invocazione di un diverso ruolo per la Banca centrale europea, alla tassazione delle transazioni finanziarie, all’emissione di eurobond per finanziare la crescita, fino alla critica all’impianto della politica economica europea di ispirazione tedesca, incentrata solo su misure di austerità a completo discapito dei provvedimenti per lo sviluppo e l’occupazione. Il rilancio della crescita, di una crescita equilibrata, ecosostenibile e che sappia ridurre le diseguaglianze è la grande, concreta sfida di oggi. Affrontarla in una prospettiva europea, non farsi imbrigliare dalle dinamiche troppo anguste del contesto nazionale, gioverebbe soprattutto al Partito democratico.


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