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Per far lievitare il Pil

E’ tempo di delega fiscale, e dunque di coraggio riformatore anche nel modo in cui tassiamo cittadini ed imprese. Avendo a mente la terribile recessione in cui ci troviamo. Una idea: ridurre le tasse sui fattori della produzione e tramite questo effetto stimolare a breve ulteriormente PIL e occupazione senza toccare il deficit. Per esempio spostando il carico fiscale dalla tassazione su lavoro (specie i contributi lavorativi a carico dell’impresa) verso la tassazione dei consumi.
 
Una mossa, passare dai contributi lavorativi all’IVA, che equivale ad una svalutazione competitiva, che tuttavia non riduce il valore delle attività finanziarie per chi detiene titoli in euro. Stimola le esportazioni e la bilancia commerciale di un paese, fugando così i timori sull’uscita dall’euro. Con due limiti. Primo, è solo ossigeno di breve termine: se si combinano aumenti di IVA con riduzione degli oneri contributivi, visto che tale aumento riduce il potere d’acquisto dei salari, i sindacati non rimarranno indifferenti a lungo, chiedendo che questi salgano e così finendo per neutralizzare l’impatto della manovra nel tempo. Secondo, se tutti i paesi dell’area euro facessero questa “svalutazione” è ovvio che i vantaggi per ogni singolo paese si ridurrebbero. Forse, sarebbe bene pensare a differenziare gli aumenti di IVA (legati a riduzione dei contributi) negoziando a livello europeo che siano concessi solo ai paesi euro-med (Italia compresa) attualmente alle prese con una grave crisi.
 
Studi rigorosi mostrano che per l’area euro l’effetto combinato di manovre di più IVA e meno contributi a carico delle imprese (che lasciano invariato il deficit pubblico) di 1% di PIL comportano un forte miglioramento della bilancia commerciale estera del Paese, di circa il 3% del PIL nel breve termine! Per fare ciò sarebbe necessario aumentare l’aliquota IVA del 2,5% e ridurre quella contributiva del circa 2,9%.
E’ operazione fattibile? Per definizione lo è dal punto di vista dell’equilibrio di bilancio pubblico. Ma in Europa sarebbe autorizzata visto che vi è un accordo non formale tra paesi dell’Unione europea a non superare quota 25% nell’IVA e che dal 2009 al 2011 13 dei 27 paesi UE hanno già aumentato l’IVA?
 
In parte maggiore gettito IVA potrebbe provenire non tanto da aumento delle aliquote quanto da una maggiore efficienza nella gestione delle attuali. Se l’Italia fosse efficiente come la Francia, per esempio, le entrate IVA crescerebbero dello 1,2% del PIL! L’efficienza nella raccolta dell’IVA dipende da 3 fattori: da una parte vi è il rispetto del pagamento da parte del contribuente e dall’altra la presenza eccessiva di deduzioni ed una mancanza di uniformità di applicazione. Nell’UE a 15, l’Italia spicca per mancanza di rispetto nei pagamenti (siamo secondi solo alla Grecia), ma anche quanto a gettito perso per deduzioni e mancata uniformità non siamo malaccio.
 
Controindicazioni principali? Non molte. Aumentare l’IVA colpisce i meno abbienti? Raramente. Se aumentiamo l’aliquota sul cibo, consumato in maggiori quantità percentuali dai poveri, tassiamo più i ricchi che comunque spendono per cibo più dei poveri. I pensionati potrebbero essere toccati da un aumento dell’IVA? Forse, ma con minori contributi sul lavoro diminuiscono anche i prezzi di tanti beni che si comprano internamente. E una tassa sui consumi pare non essere troppo recessiva in questo momento e dunque non ha l’effetto opposto a quello a cui la manovra ambirebbe, aumentare il PIL ora e subito.
 
Il Foglio, 06/04/2012

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