L’improvvisa irruzione nella scena politica del governo Monti e la determinazione con cui sta affrontando alcuni dei nodi fondamentali della crisi economico-finanziaria, dal fisco al mercato del lavoro, dalle grandi infrastrutture alla razionalizzazione della spesa, hanno determinato un generale rivolgimento degli equilibri politico-parlamentari. Le due alleanze contrapposte sono franate, forse definitivamente, di fronte alla squadra dei nuovi tecnocrati. Pd e Pdl hanno scelto di sostenerla, mentre i rispettivi alleati, Idv e Lega hanno preferito una linea di dura opposizione. E nello stesso Pd, dopo gli entusiasmi iniziali suscitati dall’inattesa rimozione del lungo incubo del berlusconismo, i sintomi di un profondo travaglio appaiono sempre più evidenti, di fronte alle posizioni decise del governo su antichi tabù della sinistra come Tav e articolo 18. L’esecutivo di emergenza nazionale, concentrando la sua azione sulle sfide ormai irrinunciabili, pone inevitabilmente poli e partiti di fronte alle contraddizioni interne che fin dagli inizi avevano minato il giovane bipolarismo italiano, depotenziandone la funzionalità.
La nuova condizione indotta dalla tempesta speculativa evidenzia un potenziale particolarmente suggestivo: traghettare il sistema politico verso un bipolarismo più maturo, in linea con le democrazie più avanzate. Convergenze e dissociazioni rispetto all’azione del governo potrebbero costituire la nuova linea di confine tra le future coalizioni. E la riforma elettorale potrebbe aiutare in questo senso. Le ipotesi più accreditate, tendenti ad attenuare il rigido maggioritario della legge vigente, favorendo la formazione di coalizioni, ma senza sostanzialmente imporle, sembrano idonee a consentire alle forze moderate e più responsabili di liberarsi dal condizionamento eccessivo delle estreme e di promuovere aggregazioni omogenee in grado di governare, assumendosi la responsabilità di scelte necessarie e coraggiose. Il bipolarismo italiano sviluppatosi a partire dal 1994 ha sofferto di una duplice malattia: la reciproca delegittimazione tra i due maggiori contendenti – Berlusconi e la sinistra postcomunista (e anche postdemocristiana) – e la disomogeneità ideale e programmatica all’interno delle coalizioni.
Questi due elementi hanno reso insufficiente l’impegno dei governi che si sono alternati negli ultimi vent’anni e hanno impedito l’adozione delle riforme istituzionali con il consenso di maggioranza e opposizione. L’unità nazionale imposta dall’emergenza ha richiesto invece un supplemento di responsabilità. Vedremo con il tempo quanti saranno in grado di testimoniarlo fino alla conclusione dell’arduo compito del docente bocconiano e della sua squadra. Quelli che perverranno con lui al traguardo potrebbero forse a quel punto ritrovarsi ancor più omogenei e affiatati di quanto non si sentano oggi. E forse quella sensazione che già affiora di una possibile nuova aggregazione in fieri all’interno della nuova maggioranza parlamentare potrebbe trovare un fondamento.