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Cosa è successo a Chen secondo il New York Times

Sarà ricordato probabilmente come uno dei più drammatici episodi della lunga e tormentata storia dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, quanto accaduto a Chen Guangcheng, l´avvocato cieco fuggito dagli arresti domiciliari nella provincia di Shandong, riparato nella sede diplomatica americana e divenuto oggetto di insoliti negoziati segreti con il governo cinese.
 
“La fuga trionfale dalla sua barbara reclusione è fonte di ispirazione per tutti noi”, ha sottolineato al New York Times un legale, Li Fangping, che ha assistito Chen durante il processo del 2006 che si concluse con la sua condanna a quattro anni di reclusione. “Qualsiasi sia il suo esito – ha aggiunto Li – questa storia potrà solo avere un´influenza positiva sulla situazione dei diritti umani in Cina”.
 
La fuga
La fuga dagli arresti domiciliari era stata studiata da tempo da Chen e dalla moglie, rinchiusi dal settembre 2010 nella loro casa a Dongshigu, sebbene non ci fossero accuse a loro carico. Stando a quanto raccontato da amici e sostenitori, le autorità locali avevano infatti trasformato la loro abitazione in una prigione, con alti muri di cinta, guardie armate e spranghe alle finestre, con l´obiettivo di evitare che Chen continuasse a denunciare la politica del figlio unico e di tenere la coppia isolata dal mondo esterno. Ogni volta che i Chen cercavano di comunicare con l´esterno per denunciare i maltrattamenti subiti venivano selvaggiamente percossi.
In linea con il piano di fuga, Chen si è finto malato per settimane, portando i suoi carcerieri a credere che fosse costretto a letto; quindi la notte senza luna del 22 aprile scorso ha aspettato che le guardie dormissero per fuggire. È stato durante i primi minuti della fuga che Chen si è gravemente ferito a un piede.
Stando al racconto degli amici, l´avvocato è caduto 200 volte prima di poter raggiungere il punto stabilito dove è stato preso in consegna da He Peirong, un ex insegnante di inglese della città di Nanchino. Una volta in macchina, Chen ha deciso che non avrebbe lasciato la Cina ed He ha diretto la vettura verso Pechino, dove un altro amico ha contattato l´Ambasciata americana, spiegando che Che era ferito e che necessitava di aiuto.
 
Il rifugio
I diplomatici Usa hanno così  fissato un incontro a poca distanza dall´Ambasciata, dove Chen sarebbe dovuto salire su una vettura del corpo diplomatico. Ma una volta arrivati sul posto, gli americani hanno notato la presenza di macchine della sicurezza cinese, seminate dopo un inseguimento. Portato al sicuro in Ambasciata, i diplomatici hanno subito chiesto a Chen quali fossero le sue richieste e l´avvocato ha chiarito di non volere asilo politico.
“Ci ha raccontato alcune storie molto tristi della sua vita – ha riferito Kurt Campbell, vicesegretario di Stato per l´Asia orientale e il Pacifico – e ha chiarito fin da subito che voleva rimanere in Cina e garantire la sicurezza della sua famiglia”.
 
I negoziati
Le richieste di Chen sono state alla base dei negoziati avviati quindi con i diplomatici cinesi, invitati dalle massime autorità del Paese a risolvere il caso prima del vertice sino-americano di oggi e domani a Pechino, sottolinea il Nyt. Gli americani hanno quindi fatto la spola tra Chen e il ministero degli Esteri cinese, dove hanno trattato con una decina di funzionari guidati dal viceministro Cui Tiankai.
Nei primi incontri gli americani hanno suggerito di trasferire Chen a Shanghai, dove la New York University intende aprire presto una scuola di legge, ma la proposta è stata respinta da Pechino. Le due parti hanno quindi definito una lista di sette città dove l´avvocato autodidatta avrebbe potuto proseguire i suoi studi, e alla fine Chen ha scelto Tianjin.
La vicenda quindi sembrava giunta a una conclusione, con il protocollo di rito dell´Ambasciata in cui a Chen è stato chiesto se voleva lasciare la sede diplomatica. “Abbiamo un protocollo molto rigido – ha precisato l´Ambasciatore Gary Locke – per cui dovevamo chiedergli ´Vuoi andare ed è questo che vuoi fare´. Se non c´è risposta affermativa davanti a testimoni, non possiamo permettere a nessuno o consentire ad alcuno di lasciare un consolato o un´ambasciata”. Chen non ha esitato, ha riferito un funzionario americano, rispondendo “zou” ossia “andiamo”.
Purtroppo la gioia di ritrovare la famiglia è svanita dopo poche ore, in seguito alle preoccupazioni espresse dall´avvocato di Chen, Teng Biao. “Se non lasci la Cina, forse ti lasceranno perdere per un po´, ma non ti sarà risparmiata una orribile rappresaglia – gli ha detto il legale – peggiore dei quattro anni di carcere e dei due anni di arresti domiciliari”. E oggi Chen ha detto di voler andare negli Usa, chiedendo l´aiuto dello stesso Presidente barack Obama.


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