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Gossip e malafede su Sua Santità

Finalmente – almeno per alcuni – il nuovo libro di Gianluigi Nuzzi sulle carte segrete di Sua Santità sarà disponibile domani in libreria. In prima istanza sembra veramente di avere a che fare con le rivelazioni più imbarazzanti del secolo, come minimo per quanto attiene alle oscure macchinazioni che si scopre avvengano in Vaticano. Lettere riservate di Dino Boffo al Papa in cui si accusa Gian Maria Vian, dettagli di missive con richieste di trasferimenti, denunce di corruzioni d’oltreoceano, fino ad arrivare a dossier su temi di precipuo interesse scandalistico, e così via. Chi più ne ha più ne metta.
 
La domanda vera non riguarda, tuttavia, quanto di sicuro succede attorno alla Santa Sede, ma cosa stia capitando al giornalismo. Senza moralismo, dobbiamo chiedercelo, soprattutto se siamo interessati a conoscere come si comportino moralmente le alte gerarchie ecclesiastiche e i loro collaboratori. Ben inteso, qualcuno potrebbe subito obiettare che nessuno al posto di Nuzzi avrebbe fatto diversamente se fosse venuto in possesso di documenti veri, inediti e tanto importanti. Tutti sappiamo, d’altronde, che il metro della professionalità è divenuta la sola ambizione. E per quanto mi riguarda non auspico certo un ritorno alla censura, cosa sempre insensata e oggi perfino inutile. No. Semmai è utile esortare a non perdere l’intelligenza anche quando non è attraente emotivamente al pari degli scandali pruriginosi che si leggono.
 
Dal privato al pubblico
 
Insomma, bisogna interrogarsi in profondità e onestà su cosa siano dei documenti di questo tipo e che posto abbiano nella comprensione di un ufficio così autorevole, ma anche così umano, com’è quello del Papa. Perfino nel medioevo, e lo storico Gabiel Le Bras lo rammenta, si sapeva che a Sua Santità giungono continuamente, da tutto il mondo, messaggi di ogni genere: dal semplice fedele al Segretario di Stato, passando attraverso le esternazioni di un folle, le minacce di uno squilibrato e le accorate suppliche di una santa beghina. Ovviamente, sono tutte lettere non pubbliche ma private. E una volta ricevute è buona prassi che vengono acriticamente catalogate e archiviate in luoghi dove lavora tanta gente, e tanta gente può fotocopiarle se ha vantaggio a farlo. Dunque, a sdegnare non è la reperibilità o l’entità di quanto sta scritto in quelle e in altre pagine brucianti, ma è la modalità con cui, avendole avute, sono state accuratamente vagliate e efficacemente selezionate dal lavoro di redazione editoriale per farle diventare un puzzle saturo e completo.
 
Un buon giornalista sa che deve restituire il presente, come lo storico responsabile il passato: entrambi, a conti fatti, sono professionali non se hanno poche o tante fonti, ma se le usano per esporre la realtà oppure per annebbiare la vista e creare mistificazioni funamboliche nella mente altrui.
 
Arnaldo Momigliano ammoniva, non a caso, che la storia antica è l’epoca su cui si dicono le maggiori corbellerie perché i dati sono pochi e le invenzioni tante. Ma, conviene aggiungere, anche nel giornalismo, laddove vi sono tanti, perfino troppi documenti a disposizione, si può incorrere in grossolane bestialità, specialmente se si desidera diffondere un desiderio perverso, inventando scenari appariscenti ma totalmente irrealistici. E’ facile, in fondo, selezionare e comporre quello che si ha tra le mani per fargli dire quello che si ha e si vuole nella mente. Un’operazione perfetta, di alto giornalismo, cui però corrisponde una mascalzonata detestabile e infamante.
 
Sul buon giornalismo e la realtà
 
Che cose ne uscirà da questo libro? Facile a capirsi e semplice a dirsi. Una parvenza spettrale in cui un potentissimo pontefice, attorniato da una curia corrotta e fedelissima, celebra nei tempi moderni l’ultima pratica degli “arcana imperii” e della gestione oscura della potenza teologica. Affascinante. Peccato, però, che sia una clamorosa balla cui abboccano ignare tante persone semplici, sincere e culturalmente disinformate.
 
L’insieme di quanto si apprende così, infatti, corrisponde alla fine solo all’emozione che si desidera sperimentare e immaginare leggendo. Non c’è che dire. Per chi edita è una questione deontologica, che riguarda cioè l’utilità dello screditare inopinatamente e deliberatamente gli altri, unita alla ben più evidente esigenza cinica di ricavarne fama personale di ottimo segugio o sciacallo, che dir si voglia. Certamente mai quella di un buon giornalista che tiene al corrente l’opinione pubblica. Per chi legge è una tentazione insopprimibile ad avere un mondo a misura del gossip.
 
Mi viene in mente il famoso esempio che faceva Ludwig Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche (un provocatorio contrappasso dantesco): se un leone potesse, descriverebbe il mondo che vuole, con i desideri che ha, o quello che veramente e realmente è, nella sua ordinaria ovvietà?
 
Qui accada lo stesso. Con l’aggravante che chi offre in pasto carne viva come carogne, mente avendo la consapevole incoscienza di mentire, e avvelena deliberatamente l’aria, profumando con l’aroma acre dello scandalo la lordura che mette sul mercato. Ovviamente, sulla base di documenti certificati e di tanta professionalità, o tanta ambizione, non vedo la differenza. Già, ma, da qualche tempo, non erano lo stesso?
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