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L’incredibile storia di Gianni Baget Bozzo

Gianni è figlio di una ragazza madre catalana, scomparsa quando egli aveva appena 5 anni, e di un sergente dell’Aeronautica italiana; adotta il cognome Bozzo dagli zii materni con cui cresce. Gianni sente fin da giovanissimo, a soli 17 anni, la vocazione per il sacerdozio. Al liceo classico conosce il futuro arcivescovo di Genova Giuseppe Siri, che è suo professore di religione. Nel 1944, a diciannove anni, aderisce alla CLN della Liguria.
 
Seminario e malattia
In quei mesi fa il suo primo ingresso in seminario dove inizia ad apprendere la metafisica aristotelico-tomistica e si innamora del pensiero di San Tommaso.
A seguito del bombardamento di Genova, della distruzione del seminario e della curia, e di una inaspettata malattia, Gianni si piega alla determinazione della madre adottiva e lasciare il seminario iscrivendosi a Giurisprudenza; all’università conosce Paolo Emilio Taviani e si iscrive alla Dc clandestina. Il giorno dell’insurrezione di Genova, il 25 aprile 1945, è inviato ad occupare Radio Genova, di cui fa anche per due travagliate giornate lo speaker. All’arrivo della V° armata americana, guidata dal generale Almond, è lui ad avvisare il cardinale Siri che a sua volta “sveglia” la città facendo suonare le campane. Solo pochi giorni dopo, ai primi di maggio, supera la linea gotica per partecipare, in rappresentanza della sua regione, al congresso del movimento giovanile della Dc. In questa occasione conosce Giulio Andreotti, del quale ha una pessima impressione, e Giuseppe Dossetti, al quale invece lo lega l’idea di coniugare al discorso politico l’ispirazione religiosa ‹‹dando alla militanza politica – come ebbe a dire lo stesso Baget – un significato spirituale››.
 
Sulla scia di Dossetti
Divenuto il principale punto di riferimento per la corrente dossettiana all’interno del movimento giovanile Dc, viene incaricato di occuparsi della formazione dei quadri democristiani; per farlo insegna a leggere in sincrono autori radicalmente diversi come Sturzo e Gramsci. Nel frattempo entra nella redazione della dossettiana “Cronache sociali” (1947-1949) su cui scrive di legittimità democratica, stato e partiti, sul ruolo dell’opposizione comunista, sulle varie anime socialiste, su Stati Uniti e Alleanza Atlantica. Conosce Augusto Del Noce e Costantino Mortati e per qualche tempo dirige anche il mensile “Per l’Azione”. Nella Capitale abita in via della Chiesa Nuova, al civico 14. All’ultimo piano della stessa casa, vivono le sorelle Portoghesi che danno ospitalità agli onorevoli Dossetti, Lazzati e Gotelli con cui Gianni stabilisce rapporti di stretta amicizia. Grazie al confessore di Dossetti, don Divo Barsotti, e a quello della famiglia De Gasperi, padre Gino Del Bono, “scopre” la dimensione mistica di Teresa di Lisieux e, su un differente registro, la fierezza politica di Girolamo Savonarola.
 
Tra Rodano e Gedda
Nel 1949, alla decisione di Dossetti di lasciare la politica e di sciogliere la corrente, Baget si allontana una prima volta dalla Democrazia Cristiana: tra il 1950 e il 1951 collabora alla rivista “Cultura e realtà”, diretta da Mario Motta; al giornale partecipano anche il filosofo torinese Felice Balbo e Franco Rodano e, in forma più defilata, don De Luca e Luigi Gedda. Nel 1951 abbandona l’impegno politico diretto, ma si avvicina ad Alcide De Gasperi collaborando alla testata voluta dallo statista trentino, “Terza generazione”, per unire i giovani al di là dei partiti e superare le divisioni tra fascisti e antifascisti. L’esperienza tutta particolare di “Terza generazione”, condivisa anche da Felice Balbo, è diretta prima da Ubaldo Scassellati e successivamente dallo stesso Baget.
 
Il ritorno a Genova
Morto De Gasperi nel 1954, Gianni ritorna a Genova dove viene coinvolto nella politica locale e due anni dopo (1956) è eletto consigliere comunale nella stessa tornata che vedrà Dossetti – in obbedienza al Cardinal Lercarocandi darsi a sindaco di Bologna.
Intanto, intorno al 1955, sente sempre più forte la Presenza divina nella sua esistenza tanto che nel 1958 si verifica l’esperienza centrale nella vita spirituale di don Gianni: la rivelazione mistica in forma di locuzione. Don Gianni la chiama “Voce” e arriverà al punto di trascrivere il dettato soprannaturale. La “Voce” gli indica la Storia come luogo di impegno, il mondo come scenario concreto in cui deve operare la Chiesa, la libertà come obbiettivo e segno della fede operante.
Dopo questa eccezionale esperienza, sempre nel 1958 rompe con Fanfani e La Pira scrivendo su “Il Quotidiano”, giornale dell’Azione cattolica, una serie di articoli contro l’apertura a sinistra da parte della Dc.
 
Cerca l’ordine civile
Si trova quindi su una linea politica assai vicina a quella di Luigi Gedda, col quale fonda il quindicinale “L’Ordine Civile”, che ha come sua missione principalmente la riforma in senso presidenziale dello Stato e la critica alla partitocrazia. Nel 1960 Genova, la sua città, è teatro di violenti scontri. La piazza, animata dai portuali e agitata dai comunisti, muove contro la scelta del Movimento sociale italiano, di tenere il proprio congresso nazionale nel capoluogo ligure. Il monocolore Dc guidato dal democristiano di sinistra Fernando Tambroni e appoggiato esternamente proprio dal Movimento sociale, è accusato dai comunisti di essere un esecutivo golpista ed è fatto cadere dagli stessi democristiani che, con Fanfani, prendono le distanze dal governo allineandosi alle critiche del Pci. A questo punto, senza esitazioni, Baget Bozzo si schiera con Tambroni e accetta la scomoda direzione de “Lo Stato”, la rivista vicina all’esponente Dc appena defenestrato. Contestualmente, per marcare la propria opposizione ad una Dc che non ha più nulla dell’identità degasperiana, fonda un movimento politico a destra del partito cattolico, i Centri per l’Ordine Civile.
L’esperienza ha poca fortuna perché trova una Chiesa già spaccata tra le pozioni di Pio XII e quelle di Giovanni XXIII. E così a Gianni è impedito di presentare una lista alternativa alla Dc nelle elezioni comunali di Roma del 1962. L’allontanamento dalla politica diviene una necessità; nonostante gli inviti di Moro a restare, Gianni si limita a scrivere per “il Popolo”, l’organo di quello che ormai non è più il suo partito, con lo pseudonimo altamente significativo di Domenico Petri: come il Santo di Guzman intende proclamare la parola piena e al tempo stesso difendere il primato petrino dai disegni parlamentaristici che allora si facevano avanti nella Chiesa.
Per cinque anni porta l’etichetta di “tambroniano e fascista”. Nel frattempo, unico laico laureato in Teologia alla Pontificia Università Lateranense su invito del rettore dell’epoca, Antonio Piolanti, accetta la chiamata del suo vescovo ed è ordinato sacerdote, a 42 anni, il 17 dicembre 1967. All’ordinazione prendono parte Dossetti, La Pira e l’ex sindaco comunista di Genova, Gelasio Adamoli.
 
Poi la “Renovatio”
Dal 1966 dirige la nuova rivista teologica del cardinal Siri, “Renovatio” (da “Renovatio ecclesiae” del Savonarola), che rappresenta le posizioni conservatrici uscite sconfitte dal Concilio Vaticano II. Attraverso la promozione degli editoriali di Siri mediante le agenzie di stampa, Baget inizia a stabilire i contatti con i giornali che finiranno per attrarlo a partire dalla metà degli anni Settanta. Sempre in questi anni scrive testi fondamentali sulla storia della Democrazia Cristiana per l’editore Vallecchi e pubblica anche con Editori Riuniti, casa editrice del Pci. Ciò provoca il suo allontanamento dalla cattedra di Teologia dogmatica della facoltà di Teologia di Genova.
 
L’ora di Craxi
In seguito per tre diverse stagioni, quindi, influenza l’opinione pubblica e la classe dirigente italiana. Dal 1977 al 1983, collaborando con Repubblica e avvicinandosi progressivamente alla figura di Bettino Craxi grazie alla comune contrarietà alla cosiddetta linea della fermezza durante il sequestro Moro. Nel 1978, anno della morte dello statista democristiano e del suo amico Pontefice, Paolo VI, don Gianni scrive di sperare nell’elezione di un Papa straniero che viaggi molto, per rompere così il dominio dei teologi progressisti diventando notizia in sé. Su richiesta di Siri lascia quindi la guida di Renovatio. Dal 1983 al 1994 Baget aderisce convintamente alla linea socialista craxiana, battendosi contro l’unità politica dei cattolici attorno alla Dc anche attraverso la propria candidatura col Psi (annunciata al congresso di Verona del 1984) al Parlamento europeo. Per questo, dopo le prese di posizione di numerose conferenze episcopali regionali, incorre nella sospensione a divinis che gli impedisce di celebrare i sacramenti e di portare l’abito talare. Prosegue anche, “in trincea”, la collaborazione giornalistica con il giornale diretto da Scalfari.
 
La discesa in campo
Dal 1994 al 2009 vive compiutamente la militanza politica prima in Forza Italia e poi nel Popolo della Libertà. Nel 1994 aderisce con entusiasmo all’avventura politica di Silvio Berlusconi. Inizia una nuova, feconda stagione che vede la pubblicazione di testi raffinati e un’intensa attività giornalistica, svolta dalle colonne non più di Repubblica ma del Giornale, di Panorama, del Foglio, di Tempi. Nel 1998 conia il termine “liberalismo popolare” in un libretto distribuito al primo congresso nazionale di Forza Italia. Più avanti, indicherà nella generazione dei ventenni di oggi quella “Berlusconi Generation”, altrimenti detta “Generazione dopo Muro” che è capace finalmente di guardare alla realtà senza le lenti deformanti delle fallimentari ideologie del passato. Incaricato da Berlusconi di occuparsi del Settore Formazione di Forza Italia, fonda nel 2000 la suaq ultima rivista che questa volta, segno dei tempi, è online: Ragionpolitica è la prima testata del centrodestra a sbarcare sul web. Il teologo, il politologo e il giornalista, tutti racchiusi in una straordinaria figura, scrivono centinaia di editoriali illuminanti, fino a poche ore prima della chiamata del Signore, giunta all’alba dell’8 maggio 2009. A lui sono grati migliaia di giovani che dal 1994 in poi hanno scelto di occuparsi della cosa pubblica, di vivere consapevolmente nella società, di amare prima e sopra tutto la libertà.
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