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Provenzano tenta il suicidio in carcere. Una messinscena?

Bernardo Provenzano, lo storico capo di Cosa nostra in manette dal 2006, ha cercato di soffocarsi due notti fa infilando la testa in un sacchetto di plastica. A sventare il proposito suicida del padrino corleonese, rinchiuso nel carcere di Parma, è stato un agente del gruppo operativo mobile che si è accorto, guardando il monitor che sorveglia 24 ore su 24 Provenzano, che nella cella del boss stava accadendo qualcosa di strano. La tempestività dell´intervento ha fatto si che il capomafia 79enne, che soffre del morbo di Parkinson e in passato ha avuto un tumore alla prostata, non riportasse danni tanto da non rendere necessario neanche il trasferimento in infermeria.
 
Ed è subito polemica. Come ha fatto a finire nella cella del boss un sacchetto di plastica, in una zona del penitenziario peraltro in cui è ospitato soltanto Provenzano?  Recentemente un neurologo e uno psichiatra hanno stabilito la capacità di intendere e di volere del padrino, assicurandone la lucidità e la possibilità di assistere “validamente in giudizio” presenziando al processo d´appello che lo vede imputato a Palermo per un omicidio del 1990. Provenzano, condannato all´ergastolo, è detenuto in regime di 41-bis, il carcere duro.
 
Secondo il Dipartimento dell´amministrazione penitenziaria, il capomafia avrebbe simulato il suicidio, con un sacchetto per conservare i farmaci; e l´Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria, che confermando la necessità che Provenzano sconti la pena “fino alla fine dei suoi giorni”, rimarca come il suicidio sia “stato sventato solo grazie alla solerzia degli uomini del Gom della polizia penitenziaria, la sola, ormai, rimasta a fronteggiare la disfatta del sistema carcerario italiano”.
 


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