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Saviano e le parole dei boss. Il 2° round di Quello che non ho

Nuova puntata, nuove parole. Dopo l’esordio boom di lunedì, la seconda tappa di “Quello che non ho”, è dedicata al linguaggio dei boss, a quelle parole e codici che conoscono bene anche le donne dei clan. Soprattutto, quelle tra loro che si ribellano alle leggi e decidono di collaborare con la giustizia.
 
Parole e codici mafiosi
E all´esegesi dei codici mafiosi Saviano dedica il primo monologo introdotto dalle note di “Casta diva”, con la lettura di Elio Germano del testo di una lettera a Michele Zagaria. “Le organizzazioni criminali – spiega Saviano – hanno saccheggiato le nostre parole, come onore, famiglia, amico. Parole magnifiche, mascherate come sinonimi di segmenti militari, organizzazioni, strutture. Nella società di Twitter e Facebook sembra impensabile che le organizzazioni possano ancora utilizzare pizzini o meccanismi di questo tipo, ma la cosa più grave è che a parole mascherate corrispondono società mascherate. Partire da qui, dalla lettera inviata in un carcere, è un modo per salvare la parola. L´unico modo per rompere il rapporto tra potere e cultura criminale è tornare a nominare le cose come sono, dire le cose come sono. Difendendo la parola – spiega lo scrittore fissando il vuoto – sono fermamente convinto che difenderemo anche il nostro territorio”.
 
La lettera a Zagaria
Secondo l’autore di “Gomorra”, “questa strana lettera – ha spiegato, interpretando il linguaggio della missiva a Zagaria – inizia con una parola come ´zio´, che per il clan dei casalesi significa ´boss´, perché i mafiosi non parlano mai in maniera diretta, chiara, usano un linguaggio allusivo, metaforico, perché l’importante è non dare prova una volta che si finisce davanti a una Corte”.
Così, ‘gli amici che partono per le vacanze’ “sono probabilmente gli affiliati che vanno dritti in carcere, come vogliono le regole dell’organizzazione´, ha continuato Saviano, e ´ti salutano tanto´ vuole dire che “non ci sono rischi di pentimenti”. Spazio poi alla ´macchina riempita di frutta fresca´, probabile riferimento “ai mercati ortofrutticoli di Milano e Fondi” e alla ´Norma vista in teatro´: “Forse il teatro è il Parlamento, e la norma è la legge, ma anche il fare affari, il loro potere”.
Ma il “passaggio più allarmante della lettera è quello in cui è scritto ´noi non dimentichiamo mai chi ci ha fatto del bene e chi ci ha fatto del male, la giustizia non ha tempo e luogo´: le organizzazioni – ha concluso Saviano – non perdonano, hanno una memoria lunghissima”.
 
Vivere sotto protezione
Con commosso silenzio il pubblico ha accolto Gaetano Saffioti, Rosaria Capacchione, Giulio Cavalli, Giovanni Tizian e Vincenzo Conticello, “giornalisti e testimoni di giustizia sotto protezione” spiega Saviano accogliendoli sul palco.
“Si è protetti non solo per difendere la tua vita, ma anche quella di chi ti sta accanto” e per “difendere il diritto alla libertà di parola”, sottolinea l´autore di Gomorra sotto scorta dal 2006. Perché essere sottoposti a un programma di protezione “non è un privilegio”, continua Saviano, ma significa che «si è tenuta la schiena dritta».
Saffioti, imprenditore sotto protezione dal 2001, sceglie ´aria´, che è sinonimo di “libertà, autonomia, indipendenza, scelta, limitazioni, privacy, vita, normalità” e alla fine si rivolge a Borsellino: “Quante rinunce e sacrifici per respirare ´il fresco profumo di libertà´ di cui parlavi. Ma la libertà non ha prezzo e qualsiasi prezzo val bene la libertà. Non ho ripensamenti né recriminazioni. Oggi, comunque, mi sento un uomo libero”. Capacchione, giornalista sotto protezione dal 2008, testimonia il sogno di “passeggiare”, di essere “accompagnata dal punto A al punto B a piedi, senza parlare, come vecchi compagni che non hanno bisogno di troppe parole”. Cavalli, attore sotto protezione dal 2006, non ha “il sole tutto caldo e bellezza”; a Tizian, giornalista sotto protezione dal 2011, manca “la leggerezza dell´aurora attesa sulla spiaggia di Bovalino, il mio paese”; Conticello, imprenditore, sotto protezione dal 2006, sogna “il mare di Mondello. Il mio estorsore? Lui sì che va in moto al mare… Ma io ho un mare di affetto, un mare di solidarietà, un mare di libertà”.
“So che non ci sono parole adatte – commenta Fazio – ma dal più profondo del cuore la nostra stima e la nostra gratitudine”.
 
Le parolacce liberatorie di Luciana Littizzetto
Ospite fissa, irrompe Luciana Littizzetto, e il clima si distende. Grande “estimatrice della parolaccia perché è liberatoria”, dichiara che “ci sono cose della vita che si risolvono solo con un vaffanculo” e tra tutte sceglie “stronzo”. L´attrice ironizza sulla possibilità di ricevere una denuncia: “Nomi non se ne possono fare. Crudelia de Mon lo posso dire o parte la denuncia come se dicessi Santanchè?” ed elenca le possibili declinazioni della parola (citando Lavitola) e poi spiega come la percezione cambi a seconda dei punti di vista: “Marchionne per Obama è un genio che ha salvato la Chrysler, per i 2000 operai di Termini Imerese minchia se è… Ha ragione Obama che è uno o hanno ragione in duemila? Per il Pdl Monti era figo durante la riforma delle pensioni, con l´Imu è il peggiore degli str….”
 
Scorrono le parole
Saviano introduce la rivoluzione dei gelsomini esplosa grazie ai social network e dà voce alla blogger tunisina Leena Ben Mhenni, che sceglie ‘primavera’. Paolo Giordano racconta la ´convivenza’ con il suo vicino di condominio. Ettore Scola, presentato da Fabio Fazio sulle immagini di “C´eravamo tanto amati”, porta “quaderno”, “una paroletta semplice e allegra che suscita qualche ricordo del passato e promette anche qualcosa per il futuro”, anche se quelli dei suoi tempi erano “grigi e sottili, con il fascio e il profilo del duce”. Il regista cita il quadernetto gelosamente custodito da Vittorio Gassman, “sulla prima pagina c´era scritto “idee generali”, le altre erano tutte bianche. Per fortuna non sono bianche quelle dei Quaderni scritti da Gramsci in carcere”.
A declinare la parola “pietra”, è Rocco Papaleo. E per lui la pietra “può distruggere, edificare, non si arrende”. Nicola Piovani rievoca lo “stupore” di Federico Fellini di fronte all´oboe scelto per una scena della “Voce della luna”.
Divertente il duello sui luoghi comuni tra Fazio e Littizzetto si va da “Yoko Ono ha rovinato i Beatles” a “meglio il treno dell´aereo”, da “è tutto un magna magna” a “per forza poi c´è Grillo”, da “Casini è un bell´uomo” a “Fini parla bene”, da “Bersani, poverino, è una brava persona” a “Meno male che c´è Napolitano”.
 
Confermati gli ascolti
Fabio Fazio e Roberto Saviano confermano il successo dell´esordio, la seconda puntata di “Quello che (non) ho” in onda ieri sera su La7 ha totalizzato il 12,29% di share media con oltre 2,7 milioni di telespettatori. La prima serata aveva conquistato 12,66% di share media e oltre 3 milioni.
In crescita i contatti: 9,2 i milioni di telespettatori che si sono sintonizzati sul programma. I picchi sono stati di 3,9 milioni di telespettatori (alle 22.28) e del 19,28% d share (alle 00.26).
 
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