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Guardando al Paese reale, non al Palazzo

Per evitare che il tempo e le discussioni la consumino e finiscano per renderla una abusata formula giornalistica o per derubricarla a espediente tattico per sopravvivere a uno scombussolamento politico che ha penalizzato nelle urne i partiti tradizionali e castigato elettoralmente la divisione di un’area maggioritaria nel Paese, è il momento di restituire
alla “casa dei moderati” lo spessore che il progetto merita e i contenuti sui quali si vorrebbero costruirne le fondamenta.
 
Iniziamo col dire che l’obiettivo della riunificazione dei moderati non è affatto un espediente. Con l’apertura del cantiere della costituente popolare Angelino Alfano ha inaugurato la sua segreteria, e prima ancora è stata la traiettoria verso la quale Silvio Berlusconi ha proiettato il Pdl all’atto di trasformare quella creatura nata nelle urne in una realtà politica strutturata. Se gli eventi – le amministrative qui in Italia, ma anche il primo turno delle presidenziali in Francia – si sono incaricati di dimostrare ancora una volta che la maggioranza moderata del Paese dividendosi è destinata a consegnare il governo alla sinistra, ciò va inteso non come una chiamata al “si salvi chi può”, ma come una ulteriore conferma della necessità di non disperdere quel patrimonio che in termini di legittimazione e di rappresentanza politica è stato costruito a partire dal 1994 dopo mezzo secolo di sottorappresentazione.
 
La crisi economica, lo sconvolgimento che ne è derivato, la domanda sempre più pressante di una politica orientata al bene comune, devono in questo senso essere colti dai partiti come un’occasione in qualche modo “rigenerativa”. Perché se il terremoto che ha investito l’Europa è innanzitutto una crisi di valori e di identità; se dalle macerie delle ideologie si è sviluppata una insidiosa ideologia di sostituzione che fa del desiderio individuale un parametro assoluto, dello scientismo il mezzo per raggiungerlo e dell’essere umano il proprio terreno di sperimentazione; se anche la più prosaica formazione del consenso attraverso la gestione delle risorse è ormai inibita dalla scarsità delle stesse, la risposta non può limitarsi a ricette tecno-economiche sul piano dei contenuti e a vecchie alchimie sul piano della proposta politica.
 
La risposta deve risiedere nella definizione di un perimetro identitario forte ma inclusivo, comune a credenti e non credenti, ma ancorato ai principi della nostra tradizione che è anche e innanzitutto una tradizione cristiana.
Preoccupandoci dei contenuti piuttosto che dei contenitori, rivolgendoci ai cittadini prima ancora che ai partiti, concentrandoci nel proporre al Paese un’idea di Italia e di Europa per i prossimi cinque anni piuttosto che nel riempire i taccuini dei retroscenisti con i borsini delle simpatie e delle antipatie di giornata, privilegiando la struttura rispetto alla sovrastruttura, sarà più chiaro cosa ci unisce in termini di principi e di idee, saremo in grado di costruire un’offerta politica che possa attrarre anche quelle energie dell’associazionismo, dei corpi intermedi, del tessuto produttivo del Paese assai poco interessate alle dispute sulle sigle e, soprattutto, di fronte alla durezza della crisi sapremo declinare ricette e proposte che pur senza dimenticare i parametri contabili adeguino le politiche economiche alla centralità della persona e non viceversa.
 
Al di là dei fattori contingenti che in ogni tornata, soprattutto in quelle di carattere amministrativo, contribuiscono a determinare gli orientamenti dell’elettorato, è questo richiamo alle fondamenta l’insegnamento che dovremmo trarre da questa particolare fase della vita politica del nostro Paese. La sfida dell’antipolitica, la tendenza alla disaffezione, le spinte disgreganti, non le si vince inseguendo né abdicando e tantomeno rassegnandosi, ma dimostrando una capacità di autoriforma che riguardi i contenuti della risposta alla crisi a cominciare da una politica economica umanisticamente orientata, e gli strumenti della democrazia a cominciare dalla forma partito, dal funzionamento dell’architettura istituzionale, dai metodi di selezione della rappresentanza parlamentare.
 
Io credo che se si parte dalle radici, dal tessuto connettivo, se si percepisce la portata della sfida che abbiamo di fronte, le ragioni della disgregazione siano destinate a soccombere. In caso contrario, nel pieno della più grave crisi che abbia colpito l’occidente dal 1929 a oggi significherebbe assumersi la responsabilità di consegnare l’Italia a una sinistra minoritaria nel Paese che ancora una volta ha ceduto alle lusinghe della radicalizzazione per assicurarsi un cartello elettoralmente remunerativo e punta a conquistare il governo con la compagine immortalata nell’ormai celebre foto di Vasto.
 
Perché sia possibile riallacciare i fili di un percorso comune – con quali formule e attraverso quali contenitori sarà eventualmente il tempo a dirlo – ognuno dovrà metterci la sua parte di buona volontà. Da parte nostra, a chiunque voglia porsi come interlocutore del Pdl chiediamo di seppellire la logica dei veti e rinunciare alla pretesa di abiure che da parte nostra non potranno mai arrivare. Il Pdl, al fianco del suo segretario, è pronto a lavorare per qualcosa di più grande. Ma intende farlo da protagonista e con tutta intera la sua storia, che dal giorno della discesa in campo di Silvio Berlusconi ha dato voce e cittadinanza al popolo dei moderati di questo Paese.


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