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Il dittatore di Cohen arriva in Italia, ma l’Asia non perdona

E´ uno spietato Generale a capo di un Paese ricco di petrolio, è pluridecorato, e ha un esercito di amazzoni che veglia sulla sua sicurezza, ma non è Muammar Gheddafi: il protagonista del nuovo film di Sacha Baron Cohen, “Il dittatore”, si chiama Haffaz Aladeen, è tanto violento quanto sciocco, ed arriverà sugli schermi italiani il 15 giugno.
 
Sarà che, in fondo, non gli hanno mai perdonato “Borat”. Sarà che il ritratto del dittatore presentato nel film si presta a imbarazzanti parallelismi con la vita reale. Il risultato non cambia: il film di Cohen è stato, senza troppi complimenti, ritirato dalle sale in Kazakistan. L´ha comunicato la Inter-Film all´agenzia di stampa Interfax. La censura kazaka arriva dopo che la mannaia censoria s´è abbattuta sulla pellicola già in Turkmenistan e, un paio di settimane fa, in Tagikistan. Sono pochissimi gli spettatori kazaki che sono riusciti a vedere il film, la cui anteprima era stata proiettata il 17 maggio in Kazakistan.
 
“The Dictator”, diretto da Larry Charles, è “la storia eroica di un dittatore che rischia la vita per assicurare che la democrazia non arrivi mai nel Paese che così amorevolmente opprime”, spiega la campagna pubblicitaria del film. Evidente, nel film, l´ispirazione a Muammar Gheddafi, il leader della Libia morto a ottobre dello scorso anno. Una caratterizzazione che, però, non mette al riparo da altri confronti con presidenti autocratici che dominano la scena in Asia centrale, spesso dalla caduta dell´Unione sovietica, com´è il caso appunto del kazako Nursultan Nazarbaiev.
 
Il primo Paese della regione ad aver vietato il film – secondo quanto ha raccontato l´agenzia di stampa russa Ria Novosti – è stato il Turkmenistan, in cui governa col pugno di ferro e attraverso un asfissiante culto della personalità Gurbanguly Berdymukhamedov. Il presidentissimo di Ashgabat, in realtà, nel 2007 s´era presentato ai turkmeni con promesse di democratizzazione e di apertura al mondo. Dopo cinque anni, di democrazia se n´è vista poca e la retorica di regime ha cambiato parola d´ordine: dalla libertà è passato alla felicità. Un´era del popolo prospero e della felicità, nel quale è possibile ascoltare le imperdibili performance canore del presidente, fare ginnastica come da decreto presidenziale, ma certo non andare al cinema a vedere pellicole sconvenienti.
 
Al Turkmenistan, poi, s´è accodato il Tagikistan, il più povero dei Paesi della regione. A Dushanbe governa Emomalii Rakhmon, che lo stesso Emomali Rakhmonov che governava fino al 2007: invece che cambiare presidente, a Dushanbe s´è scelto cambiare il nome del presidente. Evidentemente anche nel regime di Dushanbe dev´essere scattato un meccanismo d´immedesimazione. TajikKino, il dipartimento statale per l´audiovisivo, ha annunciato che il film non ha ottenuto la licenza obbligatoria e il nulla osta dalla censura. Il motivo? Avrebbe turbato “la mentalità della gente”.
 
Sacha Baron Cohen, insomma, resta una bestia nera per l´Asia centrale. Col suo giornalista kazako Borat – e col grande successo del film del 2006 basato su questo personaggio – aveva già fatto infuriare le autorità di Astana. Anche in quel caso un regime con poco senso dell´umorismo non aveva capito che la vera satira non destinata al Kazakistan, ma agli Stati uniti. Questo nonostante il titolo stesso fosse un vero manifesto programmatico: “Borat: Cultural Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan” (Borat: Studio culturale sull´America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan).
 
Poco più d´un mese fa il ministro degli Esteri kazako Yerzhan Kazykhanov aveva “riabilitato” Borat e, anzi, aveva ringraziato l´attore britannico, sostenendo che ha fatto una grande pubblicità al paese. “Con l´uscita del film, il numero di visti emessi dal Kazakistan è decuplicato”, aveva affermato il ministro in una riunione del Parlamento di Astana. “Io sono grato a Borat per aver aiutato ad attrarre turisti nel Kazakistan”. Una riabilitazione che, evidentemente, non si può estendere all´ultima opera di Baron Cohen.


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