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Le mosse di Hollande

La vittoria alle presidenziali francesi di François Hollande è il primo grande evento di politica internazionale dell’anno. Sono molte le osservazioni che potrebbero essere fatte: dalla sconfitta della nouvelle vague conservatrice, incarnata goffamente da Sarkozy, passando attraverso l’esclusione dai giochi di Strauss-Khan e l’inizio della fine del monopolio tedesco sull’economia continentale.
 
Un aspetto significativo di questo corso è la resurrezione del socialismo europeo, attraverso la versione ideologica più tradizionale e consolidata, quella d’Oltralpe. Per capire la novità è sufficiente ricordare che solo tre anni fa, dopo la sconfitta alle europee, Bernard-Henri Lévy, brillante seguace intellettuale di Sartre, augurava la morte del socialismo e il rinnovamento della sinistra parigina sul modello “democrat” all’italiana. Meno male che i maggiorenti francesi non gli hanno dato retta! Oggi, infatti, in Italia si alza ovunque il grido trasformista: “Viva Hollande”.
 
In realtà, la mancanza di una presenza filosovietica forte come da noi, ha reso il socialismo francese ambivalente e intransigente per necessità. Perciò non è scontato che questa presidenza sia in grado di interpretare la linea riformista che tutta l’Europa attende. È più plausibile invece che il “nuovo” incarnato da Hollande sia una versione standard della vecchia gauche retrò: statalista, egalitarista e poco propulsiva.
 
Negli Scritti di storia di Leo Valiani vi è una pagina eloquente che chiarisce il problema, con una notazione di inconsueta lucidità: “Il socialismo è conciliabile con la democrazia a condizione che sia un socialismo parziale; se è integrale la conciliazione è impossibile”.
In Italia il socialismo fu liberale e minoritario, così come fu élitario pure il riformismo; mentre la linea marxista ebbe il sopravvento, e trovò il suo humus ideale e la sua forza elettorale prevalente nel Partito comunista.
Che Hollande, quindi, impersoni veramente il riformismo è poco plausibile. Non gli basta essere ancora esplicitamente socialista. Il modo stesso in cui la modernità è stata tenuta a distanza fin dalla prima uscita in piazza della Bastiglia tradisce l’antico codice giacobino favorito dal neo eletto. Per saperlo, comunque, basterà scrutare quanta presenza avranno nella costruzione dell’alternativa al modello imperialista gollista l’iniziativa privata, il pluralismo e la presenza di valori spirituali.
 
La costante difformità culturale della linea liberale da quella autoritaria del socialismo resta celata per ora sotto l’effervescente opposizione tra crisi globale e progresso sociale. La prima accoglie l’accettazione del gradualismo come metodo, e rinuncia all’idea che la politica possa fare tutto e debba fare tutto. Il potere dello Stato, insomma, resta nel riformismo una sovrastruttura rispetto alla libertà individuale, cui compete il compito originario e prioritario di rappresentare l’interesse comune.


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