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Regole e mercato, un difficile equilibrio

 Il problema è che dal punto di vista della teoria economica un intervento di tassazione sull’inquinamento è in generale migliore di uno strumento dirigistico, ma una votazione democratica in un Parlamento (con preferenze dei politici distribuite secondo un criterio ben definito) porterebbe a scegliere lo strumento peggiore invece che quello migliore. Insomma, in una votazione di tipo democratico, una maggioranza di moltissimi cittadini automobilisti voterebbe per far ridurre drasticamente le emissioni solo alle poche grandi industrie energy-intensive, invece che contribuire equamente con la riduzione dell’uso della propria automobile
In questo periodo di scarso rigore tecnico, il dibattito politico è incredibilmente alla ricerca di soluzioni che non trova. Si affida così alla prima idea vagamente plausibile che coglie nelle rassegne stampa e poi procede con quella che viene talvolta chiamata la tecnica della cosiddetta “dimostrazione per affermazione ripetuta” (proof by repeated assertion). Questa tecnica funziona così: all’inizio viene diffusa un’idea apparentemente plausibile o abbastanza accettabile dal punto di vista intuitivo, anche se priva di una dimostrazione rigorosa. Successivamente la ripetizione mediatica e di comunicazione fa il resto: l’idea si ripete e ripete finché diventa parte del pensiero comune.
 
Per fare un esempio celebre del passato, il premio Nobel per un teorema dimostrato per affermazione ripetuta è stato sicuramente meritato dall’idea del “salario variabile indipendente”. Ricordate? Un balzano pensiero politico che non aveva nessuna rilevanza nella scienza economica, che infatti, si prese la sua rivincita: poiché il salario, come variabile macroeconomica, dipende dalla produttività, quella idea scassò la competitività del sistema industriale e portò inflazione all’Italia per almeno due decenni.
 
Oggi, altre simili idee si aggirano nel dibattito politico e vanno smascherate, nel campo dell’economia dell’energia, prima che sia troppo tardi. Ecco due esempi.
Il primo. Guardiamo al mercato del gas: si dice che ci vuole la concorrenza e che la concorrenza si fa con tanti operatori e che questo è il modello Usa. Ebbene, in Europa, (a differenza degli Stati Uniti), il mercato internazionale del gas è fortemente asimmetrico. Sul lato della domanda ci sono 400 milioni di consumatori, mentre dal lato dell’offerta, vi è in sostanza solo una società pubblica, per di più controllata da un governo che usa l’energia come uno strumento strategico di politica internazionale. Al contrario, in Usa, vi sono circa gli stessi consumatori, ma almeno un migliaio di produttori privati indipendenti grandi e piccoli.
 
Nel mercato Usa vi sono gli elementi per definire un assetto concorrenziale: molti produttori e molti compratori. In Europa vi è sostanzialmente un unico venditore. In tal caso, la teoria economica definisce questo un mercato monopolistico. Ora io chiedo: è efficace perseguire una politica di spezzettamento della domanda, spacciandola per concorrenza quando vi è un unico venditore? La risposta è no, ma l’illusione della liberalizzazione delle reti di gas interne in Europa è stata ripetuta fino alla noia. Dunque, con uno o cento operatori integrati di rete e vendita di gas, come cambia l’assetto concorrenziale del mercato, se l’offerta rimane comunque nelle mani di un unico monopolista (la Russia)? La risposta tecnica è che non cambia niente. Purtroppo, è facile prevedere quale sarà la rivincita dell’economia sulla politica: dove rimane uno che vende e molti che comprano, la concorrenza si può fare, sì, ma solo fra chi compra: in termini non scientifici si chiama “guerra fra poveri”. E l’Italia, per questo, pagherà di più e non di meno l’energia.
 
Il secondo. Guardiamo alla politica ambientale: si ripete che il processo decisionale democratico è il metodo giusto per ottenere risultati ottimali. Invece, talvolta, il processo decisionale di tipo democratico porta a risultati sicuramente peggiori di quello che sarebbe la soluzione ottima secondo la teoria economica. Queste, in rozza sintesi, sono le implicazioni di un sofisticato filone di ricerca teorica condotto da Alberto Alesina e recentemente oggetto di un interessante dibattito al quale ho contribuito con un mio lavoro empirico (On the relative optimality of environmental policy instruments: an application of the work of Alberto Alesina, di Carlo Andrea Bollino e Silvia Micheli) alla Conferenza della international atlantic economic society dell’aprile 2012.
 
Il problema è che dal punto di vista della teoria economica un intervento di tassazione sull’inquinamento è in generale migliore di uno strumento dirigistico, ma una votazione democratica in un Parlamento (con preferenze dei politici distribuite secondo un criterio ben definito) porterebbe a scegliere lo strumento peggiore invece che quello migliore.
Per chiarire con un esempio, invece che adottare una carbon tax su ogni tonnellata di CO2 emessa che rifletta un obiettivo di contrasto globale all’inquinamento, il teorema di Alesina prevede che un meccanismo decisionale basato sul consenso della maggioranza sceglierebbe un limite quantitativo alle emissioni di ogni fabbrica o unità produttiva che è inefficiente.
 
Perché inefficiente? Perché la votazione della maggioranza riflette la preferenza dell’elettore mediano (quel soggetto che si aggiunge al 50% per formare la maggioranza di voto), e quando, come in genere avviene, il costo marginale dell’inquinamento percepito dall’elettore mediano è superiore a quello della media della popolazione, si avrà che il risultato del voto è troppo restrittivo rispetto a quello che sarebbe ottimale. L’intuizione di questo risultato è chiara: in una votazione di tipo democratico, una maggioranza di moltissimi cittadini automobilisti voterebbe per far ridurre drasticamente le emissioni solo alle poche grandi industrie energy-intensive, invece che contribuire equamente con la riduzione dell’uso della propria automobile.
 
Nel mio lavoro empirico ho simulato l’ipotetico voto nel Parlamento dell’Unione europea sui limiti di emissione di CO2, secondo diversi meccanismi di voto e secondo diverse sub-coalizioni di Paesi. Il risultato interessante è che per il complesso dei 27 Paesi il voto porterebbe a una decisione troppo restrittiva rispetto all’ottimale. C’è da meditare sul fatto che le decisioni politiche non siano ottimali e siano troppo restrittive.
Con politiche troppo restrittive, la crescita ce la sogniamo.
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