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Una soluzione drastica agli scandali del Vaticano

Dopo la pubblicazione delle lettere private, poggiate sulla scrivania del Papa, molti osservatori hanno pensato che si trattasse di uno dei soliti scandali estemporanei di gossip estivo che lasciano presto il tempo che trovano. E che, alla fine, tutto si sarebbe risolto insieme al dissolversi delle indiscrezioni.

 

In realtà, purtroppo, quello che sta emergendo è una situazione molto più grave. Non siamo davanti ad una serie di enfatiche costruzioni mediatiche, ma ad un crollo gravissimo della governance vaticana. Dico questo con malincuore, soffrendo come tutti i credenti di vedere la Chiesa romana trascinata così in basso. Ben inteso, la prima cosa da evitare, in situazioni del genere, è pensare ad un disfacimento irreparabile e definitivo. Neanche per sogno. La lunga storia bimillenaria della cristianità ci ha abituati a scorrerie peggiori e a decadimenti morali che hanno rasentato perfino la follia. E la Chiesa ne è sempre uscita purificata e rafforzata. Mai veramente distrutta. Anche se, però, quasi sempre riformata in profondità. E in questo caso, sebbene le persone coinvolte non manifestino meno moralità della norma, probabilmente un cambiamento forte appare indispensabile.

 

Il problema, semmai, è capire come. Forse può essere realmente proficuo tentare di gestire la cosa senza farsela sfuggire di mano, capendo l’accaduto.

Una cosa, infatti, è chiara. Con il passaggio di consegne da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI nel 2005 sono cambiati profondamente gli equilibri di potere attorno alla cattedra di Pietro. Già negli ultimi anni di pontificato Papa Wojtyla aveva perduto molta della sua energia. Ma il suo pontificato è stato segnato dalla giovane e forte leadership che egli incarnava. Un’autorevolezza morale della sua missione incarnata praticamente nella capacità di governo e nella concentrazione delle responsabilità. Alla curia restava, in fondo, poco da fare.

 

Con la sua malattia e poi con il passaggio a Joseph Ratzinger è stata certamente garantita una continuità ideale, e la dimensione effettiva dell’autorità di governo è stata subordinata alle attenzioni prevalentemente dottrinali e teologiche del nuovo Vicario di Cristo. Ciò ha comportato, per gradi, un trasferimento alla Segreteria di Stato e al Collegio dei Cardinali di buona parte delle gestioni ordinarie e amministrative. Un potere che forse in taluni casi è divenuto eccessivo.

Alcune eccezioni, tuttavia, vi sono state. Una di queste era la presidenza dello IOR affidata nel 2009 ad Ettore Gotti Tedeschi. Il noto banchiere, infatti, non solo ha aiutato il Papa nella stesura dell’importante Enciclica Caritas in Veritate, ma ha anche tentato di portare una linea di trasparenza nell’Istituto, al di sopra degli enormi interessi esistenti. Si è trattato di un atteggiamento che, evidentemente, è stato tenuto anche nell’intricata gestione fallimentare del San Raffaele.

Non si può trascurare questo fatto quando si ripensa al modo violento in cui è avvenuta l’esautorazione della sua persona dal CDA della banca. Non un accenno alla linea di condotta e agli obiettivi strategici. Solitamente un dissenso su tali finalità sono motivo valido e sufficiente per giustificare un allontanamento così repentino. In questo caso, invece, la sfiducia ha riguardato solo la persona. Perché?

Si vedrà se realmente la mancanza di professionalità sia stata la causa di tutto o se, invece, è stata un pretesto. Si vedrà.

 

Quello che si può dire adesso è che mai come oggi si attende un intervento forte del Papa che prenda una posizione non di maniera, non strettamente pacificatrice, ma in grado di mettere limpidezza davanti ad un’opinione pubblica attonita per quanto sta accadendo in Vaticano. E’ importante farlo, perché altrimenti diventa difficile poi non trattare la Santa Sede alla stregua di una qualunque società per azioni, trascinata da lobbie influenti.

Gli strumenti, d’altronde, ci sono. Non soltanto il Papa gode di per sé, come Leone Magno ricorda nelle sue Lettere pastorali, di un’autorità sovrana e suprema che oltrepassa la sua persona, ma il Concilio Vaticano II e il successivo Codice di Diritto Canonico, approvato nel 1983, attribuiscono al Successore di Pietro il compito di rappresentare tutti i battezzati – sacerdoti, religiosi e laici – e non soltanto la gerarchia. Dunque, dall’alto della sua maestà, il Papa deve anche vigilare sull’operato dei dicasteri, pensando nell’ottica spirituale soprannaturale di tutti i fedeli e non circoscrivendo le sue prerogative alla difesa della parte visibile dell’istituzione.

 

Insomma, adesso più che mai si attende l’attuazione di una parte rilevante dello spirito conciliare, che Benedetto XVI sente profondamente come suo, che consiste nel ristabilire la superiorità del potere spirituale sugli interessi temporali per il bene dei fedeli.

Gli strumenti sono moltissimi, non da ultimo, ad esempio, la creazione di un’apposita Commissione d’Inchiesta che, tanto per cominciare, dia il quadro vero degli accadimenti, in modo tale che chi deve, per mandato divino, decidere sul da farsi, lo possa fare con giustizia ed equità.

In gioco, infatti, c’è il bene della Chiesa tutta, ma anche quello delle tante persone coinvolte.



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