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Vatileaks, cosa accadrà a Paolo Gabriele

Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa imputato per furto aggravato di documenti riservati di Benedetto XVI, rischia, attualmente, fino ad un massimo di otto anni di carcere. Lo ha spiegato il giudice vaticano Paolo Papanti Pelletier. Il giurista ha precisato che il Papa è sovrano nell´eventuale scelta di concedere la grazia al suo ex assistente di camera.
 
Il reato attualmente contestato, ha spiegato Papanti Pelletier in riferimento al codice penale italiano del 1889 vigente nello Stato della Città del vaticano, è quello di furto aggravato. Nel codice Zanardelli sono previste aggravanti quali il fatto che il furto sia compiuto da persona che frequenta l´abitazione del derubato e gode, dunque, della sua fiducia; o il fatto che il furto abbia coinvolto due o tre persone. Per il furto aggravato è prevista una pena che va da uno a sei anni, si può allungare a otto anni nel caso che vengano accertate più di un´aggravante.
 
Nel caso venisse accertato a carico dell´imputato un concorso di reati, ad ogni modo, alla pena base verrebbe aggiunta una pena ridotta relativa ai reati meno gravi. Non è previsto, invece, un reato configurabile come possesso indebito di documenti riservati.
Papanti Pelletier, ordinario di diritto civile all´Università di Tor Vergata oltre che giudice vaticano non coinvolto, attualmente, nel caso di Paolo Gabriele, non ha fornito una previsione dei tempi che può prendere l´istruttoria, e di conseguenza l´intero processo, limitandosi a sottolineare che l´attuale detenzione preventiva non può prolungarsi più di 50+50 giorni. La difesa può svolgere una propria contro-indagine e il giudice istruttore “ne deve tenere conto”.
 
L’uomo sospettato di essere il “corvo” è stato interrogato dal giudice istruttore Piero Antonio Bonnet, alla presenza del promotore di giustizia (il pubblico ministero vaticano) Nicola Picardi e degli avvocati difensori Carlo Fusco e Cristiana Arrù e ha chiarito i suoi rapporti dentro e fuori le mura vaticane dove aveva spesso incontri segreti.
Ora Gabriele si trova in una delle quattro celle di sicurezza presso il palazzo della gendarmeria vaticana. Si tratta di una stanza di quattro metri per quattro, con finestra dotata di letto, scrittoio e servizi igienici. Non c´è una tv, ma, su decisione del giudice istruttore, il detenuto può avere accesso ai giornali. L´imputato unico del caso Vatileaks – almeno sinora – ha assistito a una messa domenica scorsa in una chiesa all´interno del Vaticano e – ha riferito il giudice – vi è stato condotto “senza manette” da due gendarmi.
 
Papanti Pelletier ha precisato che l´istruttoria – sia quella sommaria, sia quella formale attualmente in corso con gli interrogatori iniziati stamane – “non è pubblica”, mentre, qualora il giudice istruttore Piero Antonio Bonnet rinviasse l´imputato a giudizio, la fase dibattimentale sarebbe pubblica.
Se poi – “ipotesi di scuola” – Paolo Gabriele fosse condannato, in assenza di un carcere vaticano, “la segreteria di Stato, in base al trattato Lateranense del 1929, ha la possibilità di chiedere al governo italiano che il condannato possa scontare la pena in un carcere italiano”. La vigilanza, ovviamente, sarebbe garantita dal solo corpo di guardia italiano.
 
Dopo il processo penale Gabriele in ogni caso non potrà più tornare a lavorare Oltretevere, sarà licenziato (secondo il Regolamento generale della Curia Romana) e, secondo alcune voci, potrebbe attendere il processo in Italia, in una sorta di confino.
Prima di una condanna definitiva, ad ogni modo, ci sono, come nella giurisdizione italiana, tre gradi di giudizio (la Cassazione vaticana, composta da tre cardinali, è, peraltro, la sola corte a poter giudicare eventuali cardinali incriminati). Quanto ad un eventuale gesto di clemenza, il Papa può concederlo sovranamente “in qualunque momento” o stadio del giudizio e anche “in difformità dal risultato delle indagini”, sebbene sia più verisimile a conclusione dell´istruttoria. Nel caso – ipotetico – che il maggiordomo avesse dei complici di nazionalità italiana, infine, la segreteria di Stato può presentare al ministero degli Esteri italiano una rogatoria internazionale. Ipotesi possibile, in particolare, nel caso ci siano “altri soggetti informati dei fatti che abitano in Italia e non vogliono presentarsi spontaneamente davanti al giudice vaticano”. La Farnesina potrebbe rifiutarsi nel caso il Vaticano persegua un reato previsto dai propri codici ma non riconosciuto come tale dalle norme italiane.


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