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Andiamo avanti nel solco dell’agenda Monti

Qualcuno si è chiesto perché abbiamo proposto la lettera-appello sull’agenda Monti proprio in questo scorcio di fine luglio. La risposta è semplice. L’andamento della crisi economico finanziaria nei prossimi mesi dipenderà molto dagli impegni che la politica prenderà oggi per la prossima legislatura. Ora per allora.
 
Che succede da maggio 2013? si chiederanno i mercati –e i cittadini- già nelle prossime settimane, magari guardando alla Spagna o aspettando la sentenza della Corte di Karlsruhe. Questa risposta dipende in larga misura da noi, dal Pd.
Noi quindici firmatari –e con noi moltissimi altri- intendiamo porre questa questione a viso aperto. Altro che questione astratta: questo è il problema dei problemi, la sua soluzione avrà conseguenze di una concretezza misurabile nelle tasche degli italiani.
Sappiamo che non tutte le incertezze possono essere fugate da subito. La legge elettorale e il confronto politico delle prossime settimane decideranno sulle alleanze. E il voto è libero, per fortuna. Non esistono esiti scontati o governi “in waiting”.
 
Ma c’è un punto cruciale su cui è necessario e già possibile fugare ogni dubbio. E che influirà sul quadro delle alleanze e sullo stesso potenziale di consensi al Pd. Il punto è questo: faremo nostra, anche nella prossima legislatura, l’agenda Monti? O ricominceremo da capo, magari da un lato diverso?
Non dico ovviamente che trascorreremo cinque anni ad attuare e ribadire le scelte degli ultimi sette mesi. Tanto meno che non vediamo le conseguenze drammatiche che la crisi sta avendo specie sui più deboli e i meno tutelati. Dico che dobbiamo andare avanti nel solco dell’agenda Monti e chiarire che, se ci sarà un Governo con il Pd in funzione determinante, non sarà il Governo del disfare.
 
Del resto è questo l’unico sviluppo coerente con la scelta che il Pd ha compiuto lo scorso autunno: sostenere la svolta ispirata da Giorgio Napolitano, che ancora stamattina ha richiamato tutti alla continuità nell’opera di risanamento. L’Italia deve molto a questo Presidente della Repubblica e noi, contro critiche immotivate e contro attacchi assurdi come quello dell’onorevole Di Pietro, che è arrivato a parlare di “tradimento della Costituzione”, noi lo difenderemo a spada tratta.
Abbiamo reso possibile la nascita di questo Governo, e lo sosteniamo. E non solo per un dovere di lealtà che giustamente viene spesso richiamato da Pierluigi Bersani. Lo sosteniamo perché condividiamo la direzione di marcia fondamentale su cui si è mosso.
 
Dalla riforma delle pensioni, all’azione per raggiungere il pareggio strutturale di bilancio e scongiurare l’aumento dell’Iva, al primo tentativo di spostare il prelievo dai redditi da lavoro ai patrimoni. Alla spending review che, pur con alcuni evidenti limiti, è indispensabile per ridurre le tasse su lavoro e impresa e liberare risorse per investire sul futuro e trasformare il Welfare del secolo scorso.
Una parte dei nostri obiettivi –non tutti, certamente- è stata sviluppata da questo Governo. Noi lo sosteniamo per questo, e non solo perché finalmente ci fa fare bella figura nel mondo.
 
Nonostante tutto questo, non passa giorno in cui esponenti di primo piano del Pd, e non su bollettini di quartiere ma dai principali telegiornali, parlano di questo Governo come del Governo degli esodati, dell’articolo 18, dei tagli lineari, il Governo dell’odiata Fornero, il Governo che uccide la Sanità e lede i diritti dei pensionati. Questa non può essere, e non è la linea del Partito democratico.
Perfino sull’Europa, dove abbiamo la fortuna di avere in campo il migliore dei Premier possibili, vedo che talvolta l’apprezzamento a Monti viene concesso a mezza bocca, quasi si trattasse di un effetto collaterale di una ripresa dei socialisti.
Ora con tutta la considerazione per la novità di Francois Hollande all’Eliseo ricordo che i Governi a guida socialista sono cinque su ventisette e che gli interessi italiani si sposano più facilmente con il Premier Ppe della Spagna che con quelli Pse di Austria o Danimarca.
 
A Bersani va dato atto di aver sempre confermato il sostegno a Monti e di aver richiamato alla coerenza con questo sostegno i nostri comportamenti parlamentari. Il che è quasi sempre avvenuto, come si è visto plasticamente in occasione del voto sul fiscal compact: una decisione storica che ha trasformato il gruppo del Pdl in una Babele.
Ma la sfida che noi lanciamo, al di là del sostegno al Governo Monti, che oggi non si discute, riguarda le scelte di domani. Il “ritorno della politica” nella prossima legislatura non può essere abbandonato all’incertezza, non può avvenire, per dirla con De Gregori, all’insegna del “non sa dove andare, comunque ci va.”
Sia chiaro: quando diciamo di procedere nel cammino intrapreso in questi mesi non stiamo proponendo un Monti bis. Diciamo che l’agenda Monti non può non essere la base anche per il Governo della prossima legislatura.
 
Il che vuol dire che non siamo d’accordo con chi dice: bene l’Europa, ma il resto è da rifare. Vuol dire che non rimetteremo in discussione la riforma delle pensioni: abbiamo già dato con lo scalone. Vuol dire che pur con i limiti evidenti, anche per l’insufficiente dotazione finanziaria, la riforma del mercato del lavoro è un primo passo verso i tre traguardi di cui parla da anni Pietro Ichino: tutti a tempo indeterminato, nessuno inamovibile, continuità di reddito e di training per chi è momentaneamente fuori. Vuol dire che non siamo d’accordo con la tesi secondo cui l’agenda Monti andrebbe bene per l’emergenza, ma non per il dopo. Per la semplice ragione che siamo in emergenza: sul debito, sul lavoro, sulle tasse, sulla recessione.
 
Vuol dire, infine, che non possiamo fare concessioni a chi promette un rilancio in grande stile della spesa pubblica, scambiando l’Italia per gli Stati Uniti di Obama, e ignorando una grande verità affermata alcuni mesi fa da Dave Milliband:”essere associati allo Stato è il bastone con cui la sinistra viene picchiata in tutta Europa.”
Ho già detto che opporsi al “governo del disfare” non vuol dire passare i prossimi cinque anni a fare fotocopie. Se vinceremo, avremo un diverso orizzonte temporale; e forse non avremo i veti della destra che hanno impedito decisioni importanti. Dalla patrimoniale alla Rai, per fare due esempi. Una prospettiva di cinque-dieci anni per rimettere in moto il Paese, partendo dalla conferma del tratto di strada appena fatto, dovrà concentrarsi su tre grandi scelte.
Prima di tutto l’Europa, l’orizzonte degli Stati Uniti d’Europa come condizione perché i discorsi sugli eurobond o sulla Bce che stampa moneta non restino pure petizioni di principio.
 
In secondo luogo un’azione più coraggiosa nell’abbattimento del debito. Sia attraverso la dismissione di patrimonio pubblico, e qui l’ipotesi avanzata dal Ministro Grilli appare troppo timida se confrontata, ad esempio, con il recente studio dell’Istituto Bruno Leoni, Sia attraverso imposizioni straordinarie sulla ricchezza, da attuare nei modi e nei tempi giusti. Ricordo tra l’altro che quando Veltroni parlò di patrimoniale nel 2010 al Lingotto, nell’ambito di una strategia che resta attuale, fu liquidato un po’ burocraticamente da un responsabile del partito che disse “il Pd ha già scartato questa ipotesi”.
 
Infine, l’individuazione di due grandi priorità dove indirizzare le disponibilità derivanti dalla riduzione degli oneri del debito e da ulteriori –e non lineari- revisioni della spesa. Prima priorità: ridurre le tasse sul lavoro e i livelli ormai inaccettabili di diseguaglianza proseguendo la riforma del welfare. Seconda priorità: accompagnare la conversione del nostro modello produttivo verso la qualità, la green economy, l’innovazione, l’economia digitale. In gioco non è solo la competitività dell’Italia nell’era globale, si tratta anche di immaginare un modello di società più sobrio, sostenibile, basato su sussidiarietà, cittadinanza attiva e solidarietà.
 
Questo è per me il nuovo orizzonte di un riformismo liberale. Qualcuno il riformismo liberale lo scambia per liberismo, evoca la Thatcher, dimenticando Blair, Schroeder e l’Ulivo. E lo dà per morto: in Italia si tratterebbe di un infanticidio.
Dobbiamo invece mettere il riformismo liberale alla prova della terribile crisi di questi cinque anni, senza ricette del secolo scorso, di destra o di sinistra che siano. Non dobbiamo aver paura di mettere al centro del nostro riformismo la persona, come ci ha insegnato a fare la migliore tradizione cattolica democratica. Sbaglia chi scambia l’individualizzazione per il berlusconismo, e magari tuona contro l’individuo attaccato al proprio account su twitter.
 
Ecco le sfide che attendono il Pd. Per essere all’altezza, affrontiamole con umiltà. Vedo in giro troppa vertigine del successo, mentre al più dovremmo avere l’euforia del superstite: siamo sì primi nei sondaggi, ma molto lontani dal nostro potenziale elettorale. E siamo alla fine della Seconda Repubblica e del tipo di offerta politica che l’ha caratterizzata. Nonostante il riaffacciarsi di Berlusconi, l’offerta politica cambierà. E il cambiamento non potrà restare fuori di noi.
Anche per questo è indispensabile una nuova legge elettorale. Una legge elettorale che favorisca una maggioranza la più larga possibile e coerente con lo sviluppo dell’agenda Monti. E’ importante la disponibilità a questa ipotesi dichiarata da Casini. Non lo è di meno la voglia di protagonismo riformista che si manifesta anche fuori dai partiti consolidati.
 
Parlo di maggioranza più larga possibile in un quadro bipolare. Un bipolarismo dei valori e delle scelte fondamentali, a cominciare dall’Europa, che comunque richiede convergenze sulle regole visto che ormai l’emergenza istituzionale rincorre e alimenta quella economico-finanziaria.
Questi saranno i temi che metteremo all’ordine del giorno delle primarie. Nelle prossime settimane conosceremo data e griglia di partenza, intanto io apprezzo l’impegno preso da Bersani a convocarle e a tenerle aperte anche a diversi esponenti del Pd. Sarà l’occasione per mostrare all’Italia un partito affidabile e responsabile. Che non si limita a difendere la propria costituency fatta di sindacato e impiego pubblico, ma si rivolge alla grande maggioranza degli elettori per rimettere in moto l’Italia cambiandola.
 
L’Italia ha tante carte da giocare nella nuova era globale. Ce la può fare se punta sul suo vero soft power, che non è il rapporto con lo Stato né purtroppo l’etica pubblica, ma è, da secoli, un impareggiabile livello di civiltà e di talento creativo legato ai territori.
Responsabilità e fiducia devono guidarci in un cammino lungo il quale possiamo forse ritrovare quel Pd che qualche anno fa avevamo voluto e sognato.
 
 
Intervento introduttivo di Paolo Gentiloni all´assemblea “Il Pd e l´Agenda Monti” del 20 luglio.


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