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Deficit di antitrust

Per troppo tempo, in un contesto socio-economico blindato da corporativismi e capillari reti clientelari, la concorrenza non ha potuto dispiegare pienamente i propri effetti benefici nella vita economica italiana, atrofizzando l’istinto degli operatori economici verso la ricerca delle migliori condizioni nel mercato, soffocando occasioni imprenditoriali e compromettendo l’attrattività del nostro Paese per gli investimenti esteri. L’assenza di una robusta concorrenza ha contribuito a pregiudicare la crescita economica dell’intero Paese: come ricorda il professor Giuseppe Tesauro, autorevole esponente del diritto antitrust nazionale e comunitario, la concorrenza nel mercato porta sempre a una democratizzazione dei rapporti economici.
 
Gli effetti di una labile cultura della concorrenza in Italia sono sotto gli occhi di tutti: lo stato attuale della cultura della concorrenza è, infatti, riflessa nei comportamenti quotidiani di ognuno di noi le cui preferenze segnalano quali prodotti, servizi, condizioni contrattuali, sono competitivi e quali no. Ed è proprio in questi anni di crisi che maggiormente si avverte la mancanza di una diffusa e radicata cultura della concorrenza in Italia, intesa come consapevolezza da parte della collettività della responsabilità di assicurare che tali regole siano osservate nell’interesse generale della società. Non dovremmo meravigliarci più di tanto, allora, se il cittadino risulta privo della sensibilità verso l’illecito concorrenziale.
 
Nonostante l’attenta vigilanza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, l’illecito anticompetitivo è sempre dietro l’angolo, assumendo sovente forme e modalità collusive che sono ormai scomparse in gran parte dei Paesi industrializzati avanzati e che, in alcuni casi, risultano addirittura avallate da coperture normative e di tipo amministrativo. Quest’ultimo fenomeno ha raggiunto una rilevanza tale che, con il decreto “Cresci Italia”, è stato attribuito all’Antitrust il potere di impugnare gli atti a contenuto regolamentare di qualsiasi amministrazione pubblica che violi le norme a tutela della concorrenza. Ciò conferma il dubbio che la Pa nostrana sia ancora poco avvezza ad un’auto-valutazione della compatibilità delle proprie deliberazioni con la normativa Antitrust.
 
La cultura della concorrenza ha bisogno di interventi che si collocano inevitabilmente a monte dell’osservanza della legge. Sorprende, al riguardo, la totale assenza di appositi interventi di sensibilizzazione rivolti ai cittadini e alle imprese. Del resto, anche a livello accademico non siamo messi bene: sfogliando i programmi dei corsi di laurea delle università italiane, emerge un quadro poco confortante: il diritto della concorrenza si studia solo nel 47% delle facoltà di Giurisprudenza (il dato sale al 58% nelle facoltà di Economia). Fortunatamente, per essere consapevoli attori nel mercato non ci vuole una laurea.


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