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L’ora delle scelte. E degli investimenti

Il focus sul miglioramento delle capacità militari della Nato non è certo nuovo, ma è comunque benvenuto. La questione è vecchia tanto quanto la stessa Alleanza. Ha avuto un maggior risalto a seguito dell’impegno Nato in Afghanistan. Molti Paesi membri hanno dispiegato forze senza adeguata intelligence, logistica, proiezione aerea o mezzi di trasporto. Poi c’è stato l’intervento in Libia. Questo conflitto ha messo in luce il buono, il brutto e il cattivo dell’Organizzazione.
 
Il buono è stato nella capacità di un certo numero di nazioni Nato, tra cui la Francia, di condurre una campagna combinata aereonavale che ha portato al crollo del regime di Gheddafi.
Il brutto è emerso negli evidenti gap di credibilità mostrati dalla Nato in aree fondamentali come il rifornimento aereo, capacità Isr (intelligence, sorveglianza, ricognizione), attacchi di precisione, analisi dell’intelligence, guerra elettronica e controllo aereo tattico. Il cattivo è stato il rifiuto di alcuni membri dell’Alleanza, e soprattutto della Germania, di partecipare all’intervento e la relativa scarsità di mezzi da dispiegare da parte di un’Alleanza che, senza gli Stati Uniti, spende comunque più di 300 miliardi l’anno nella difesa.
 
La Smart defence può essere un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda della prospettiva. Dal lato positivo, l’Alleanza è riuscita a definire le capacità prioritarie che devono essere rafforzate, e in alcuni casi ha intrapreso passi concreti. Per esempio la Nato ha migliorato la propria capacità di trasporto aereo strategico attraverso due programmi avviati prima del lancio della Smart defence: la Strategic airlift interim solution in cui 14 Stati membri hanno messo insieme le loro risorse per affittare sei trasporti Antonov An-124-100, e la capacità di trasporto strategico (Strategic airlift capability), centrata sull’acquisto di tre Boeing C-17. Nel campo della difesa missilistica, la Nato ha integrato un certo numero di sensori e sistemi di comando e controllo nazionali che verranno anche inquadrati nella nuova architettura adattiva a fasi americane (Phased adaptive architecture).
 
Inoltre molti Paesi stanno migliorando le loro capacità di sorveglianza aerea e missilistica. Infine, 13 Paesi membri si sono federati per acquisire cinque Global Hawk “Block 40”, i droni d’alta quota che saranno equipaggiati con avanzati radar di sorveglianza del terreno. Dal lato negativo, la razionalizzazione delle capacità militari Nato e la liberazione di nuove risorse da impiegare sulle priorità ridefinite è appena cominciata. Ci sono ancora troppe ridondanze e sovrapposizioni, spesso in aree di impiego non critiche.
 
La Nato si è spesa per una difesa antimissili balistici integrata, ma deve ancora acquisire elementi fondamentali della stessa come intercettori a lungo raggio, sebbene singoli Paesi già dispongano dello Standard missile 3. Gli investimenti nell’analisi dell’intelligence, nella logistica e nella guerra elettronica sono ancora insufficienti.
Lo stesso dicasi per le armi che hanno vinto la campagna di Libia, ovvero le armi di precisione. I conflitti potenziali che si delineano all’orizzonte, per esempio in Siria, lasciano poco tempo ad ulteriori studi, ricerche e comitati. Quando si tratta di investire in capacità militare, la Nato deve mostrare di essere saggia, oltre che intelligente.
 
Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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