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Scricchiolii di regime

Il Partito comunista cinese continua a mostrarsi brutale e intollerante verso il dissenso pacifico e ossessionato dalla rivoluzione comunicativa. Considerando i piccanti dettagli ad oggi disponibili sull’affaire Bo (incluso il coinvolgimento della moglie nell’uccisione di un imprenditore britannico), sembra che il Partito abbia davvero buone ragioni per essere spaventato. Bo, ex capo del Pcc a Chongqing, è diventato il simbolo della corruzione sistemica e della disfunzionalità di un regime spesso considerato efficiente, flessibile e resiliente. Naturalmente gli scandali che coinvolgono alti funzionari cinesi sono piuttosto comuni. Due membri del Politburo sono stati arrestati per tangenti. Ma ciò che distingue l’affaire Bo dalle consuete vicende di avidità e potere è la totale mancanza di rispetto delle regole da parte degli alti papaveri del potere cinese.
 
Il clan di Bo, secondo la stampa, non solo ha accumulato un’ingente fortuna, ma è stato anche coinvolto nell’uccisione di un occidentale che è stato il principale tramite della famiglia stessa con l’estero. Quando era al potere, Bo era oggetto di lodi per la sua azione di repressione del crimine organizzato nella città di Chongqing.
 
Ora è emerso che in questa campagna, assieme ai suoi scagnozzi, ha detenuto, torturato e imprigionato illegalmente molti uomini d’affari innocenti, il tutto mentre si impadroniva dei loro beni. Esponenti dell’élite, che pure proclamano pubblicamente il loro patriottismo, nascondono ricchezze frutto di malversazioni all’estero e mandano i loro figli a studiare nelle migliori scuole e università dell’occidente. L’affaire Bo ha mostrato un’altra fonte di debolezza del regime, rivelando l’ampiezza della lotta di potere e di fazione tra gli alti funzionari di partito.
 
La tradizione cinese di sismi politici, e la lunga serie di regimi autoritari che sono caduti in altre parti del mondo, suggeriscono l’ipotesi che un’autocrazia disunita non sia destinata a durare molto. Il suo nemico più temibile si trova al suo interno. Inoltre, il modo dilettantesco con cui il Partito ha trattato lo scandalo indica che esso non è in grado di gestire una crisi improvvisa nell’era di Internet. Ciò che durante l’affaire Bo ha fatto perdere la faccia (e il sonno) agli alti papaveri cinesi è stato il fallimento del famoso “Grande firewall”. I tentativi di censurare Internet e i servizi di messaggeria mobili sono falliti miseramente.
 
I cittadini cinesi, per la prima volta nella storia, sono stati in grado di seguire, e commentare senza remore, in presa diretta, una lotta di potere che si svolgeva al vertice del Partito. Per fortuna (per il Partito), l’indignazione dei cittadini per l’illegalità e la corruzione di leader come Bo si è espressa nel cyberspazio e non nelle strade.
 
Ma come andranno le cose alla prossima crisi? I leader cinesi, ne siamo certi, si stanno ponendo proprio questa domanda, il che spiega perché un regime apparentemente che sembra aver fatto così bene finora, sia così terrorizzato dai propri stessi cittadini. È difficile dire se un paranoico con nemici nella realtà sia più facile da trattare di uno senza. Ma, per il governo cinese, che domina il più grande Paese del mondo, la paranoia stessa è diventata il problema. Per superarla non basterà un cambiamento di mentalità. Ci vorrà una trasformazione totale del sistema politico.
 
© Project Syndicate 2012. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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