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Un’Italia un po’ più scandinava?

Il primo ministro italiano è il più “tedesco” tra gli economisti italiani. A capo della concorrenza dell’Unione europea dieci anni fa, egli era considerato il tipico regolatore di stampo anglosassone. Oggi, è il più “nordico” dei primi ministri che l’Italia abbia mai avuto. All’inizio del suo mandato, Monti proclamò la sua ammirazione per tutto ciò che è danese, la “società, l’economia e la civiltà” di quel Paese. Le misure ad oggi introdotte – dalla riforma delle pensioni alla lotta all’evasione – mostrano quei caratteri di rigore e trasparenze che sono solitamente associati ai Paesi nordeuropei. Al tempo stesso, Monti ha più volte ripetuto di essere interessato ai meccanismi di protezione sociale e alle regole del mercato del lavoro della Scandinavia. Il recente annuncio del gigante dell’arredamento svedese, Ikea, di voler aprire due nuovi stabilimenti nell’Italia nordoccidentale suggerisce che gli scandinavi abbiano preso buona nota dei gusti nordici di Monti.
 
Monti tuttavia sarebbe il primo a concedere che quella italiana non è una società di stampo nordeuropeo. Bankitalia ha lanciato l’allarme sulle disuguaglianze, calcolando che i dieci più ricchi italiani hanno la stessa ricchezza dei tre milioni più poveri. Inoltre c’è un’ondata di scandali legati alla corruzione, che colpisce il Paese in una misura non vista dai tempi di Mani pulite, l’inchiesta che spazzò via l’establishment politico italiano vent’anni fa. La giustizia che non funziona e la giungla burocratica sono perenne motivo di lamentela da parte degli investitori. Come ha sottolineato recentemente la Repubblica, “trasferire il modello danese all’Italia non sembra affatto facile”. Ciò è vero soprattutto per la riforma delle obsolete regole del mercato del lavoro. I negoziati in corso su questa riforma confermano che l’Italia è perennemente prigioniera della polarizzazione politica. I leader economici ritengono che le proposte del governo per facilitare i licenziamenti non siano abbastanza coraggiose, mentre per i sindacati mancano risorse per fare le riforme. A causa di questa dissonanza, i mercati finanziari reagiscono aumentando la pressione sui rendimenti dei titoli di Stato.
 
Certo, l’Italia non ha quel grado di consenso che troviamo nel nord Europa. Ma Monti ha dalla sua una delle qualità nordeuropee più caratteristiche: la fiducia. Le paurose oscillazioni del governo Berlusconi non hanno fatto che peggiorare la tradizionale reputazione italiana di inaffidabilità. Monti vuole cambiare questo dato, cambiando in primo luogo quella che lui stesso definisce “la mentalità” degli italiani – un compito titanico, ma anche un’opportunità politica che il premier deve ancora cogliere appieno.
Il rapporto tra l’ex professore universitario Monti e la classe e la cultura politica italiana è una questione complessa. Mentre la credibilità del suo governo di tecnocrati riposa sull’imparzialità, tutte le misure intraprese sono inevitabilmente politiche, perché riflettono una visione sull’organizzazione sociale. Non si può essere al tempo stesso neutrali e giusti in politica. La tensione sulle riforme proposte da Monti è il segno che il suo governo si sta a tutti gli effetti politicizzando. Per fortuna, Monti non si è ritirato dal gioco politico. Il suo viscerale legame al progetto europeo fa di lui attualmente il più europeista dei capi di governo dell’Unione. Con un paradossale cambio di direzione nel rapporto nord-sud del Continente, le sue opinioni stanno influenzando la posizione del cancelliere tedesco sulla necessità di stimolare la crescita in Europa. I funzionari del governo italiano parlano apertamente della necessità di una “sincronizzazione politica” con Berlino.
 
Monti ha oggi l’opportunità straordinaria di far propria un’altra delle caratteristiche del nord Europa, trasformando le sue politiche centriste in una narrazione collettiva improntata alla responsabilità politica. È vero, quella in cui è impegnato è una navigazione difficile tra mercati isterici, richieste della Ue e manovre di parte in vista delle elezioni generali che si terranno in meno di un anno. Dalla sua, però, ha il vantaggio di poter calcolare il rischio, dato che gli oppositori del suo governo hanno bassissimi livelli di popolarità, mentre l’agenda di crescita e competitività di cui Italia ed Europa hanno assolutamente bisogno richiedono che sia lui a tenere il centro della scena politica per tutto il tempo del mandato. Tenere la politica fuori dal governo per tutto il tempo che sarà possibile è una strategia rischiosa. In fondo, Monti non è l’unico che sa giocare questa partita. I sostenitori dei movimenti “antipolitica”, come il MoVimento 5 stelle di Beppe Grillo, si aggirano sull’8% nei sondaggi elettorali. Per Grillo, il premier è “Rigor Montis”, e nella sua metafora lo ha perfino rappresentato dentro una bara. In un Paese dove dieci anni fa gli estremisti di sinistra hanno sparato a chi tentava di riformare il mercato del lavoro, la facezia ha un retrogusto molto amaro.
 
Questo genere di virulento populismo oggi fa proseliti nel vuoto politico dell’Europa. Il fatto che il governo di Monti non sia stato eletto non dovrebbe impedire al premier di colmare quel vuoto, con un programma politico determinato e riformatore. La sua capacità di trarre il massimo dal breve periodo di potere eccezionale che gli è stato concesso sarà un test di maturità per la democrazia italiana. Grillo ha recentemente titolato, nel suo popolare blog, “Sognando la Danimarca”. Quella visione, per quanto lontana, è molto più sicura se a maneggiarla sarà Monti.
 
© Project Syndicate 2012. Traduzione di Marco Andrea Ciaccia


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