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Francesco, il Santo. Capolavori  nei secoli e dal territorio reatino
Rieti
fino al 2 settembre
 
La città di Rieti è il centro della Valle Santa frequentata da Francesco con assiduità dal 1209 al 1225, testimonianza viva dei momenti fondamentali del francescanesimo: la scrittura della Regola bollata nel santuario di Fonte Colombo (definito “Il Sinai francescano”), la rappresentazione del primo presepe vivente nel santuario di Greccio nella notte di Natale del 1223, l’austera ed essenziale sacralità dello Speco di Poggio Bustone, la pace mistica del santuario di S. Maria della foresta. La mostra si articola in tre sedi espositive: nella prima, negli spazi del Museo civico di Rieti, con gli esempi più significativi dell’immagine di San Francesco nelle sue diverse declinazioni iconografiche, con un nucleo di capolavori provenienti da diversi musei nazionali.
 
Opere celebri, come le tavole di Cimabue e Margaritone d’Arezzo per il Medioevo, Antoniazzo Romano per il Rinascimento, Correggio e Tiziano, Annibale Carracci e Pietro da Cortona, Tiepolo e Alessandro Magnasco rispettivamente per il Cinque, Sei, Settecento e Francesco Podesti e Domenico Morelli per l’Ottocento, per il Novecento Duilio Cambellotti e Adolfo Wildt, per giungere all’originale interpretazione contemporanea di Norberto e Mimmo Paladino. Si è scelto di individuare capolavori in grado di illustrare i principali episodi della biografia di Francesco, interpretati nelle diverse declinazioni stilistiche che segnano l’evoluzione del linguaggio artistico, accomunati dalla intensità espressiva e spirituale cui la figura del Santo risulta inscindibilmente connessa.
 
Nella seconda sede, il salone del Palazzo papale della Curia reatina che ospita il Museo diocesano, sono visibili le opere provenienti dal territorio, alcune conservate in luoghi non visitabili e restaurate per l’occasione, momento importante di valorizzazione e di studio scientifico, selezionate a Rieti e provincia tra quanto di più interessante è stato espresso nell’arte sacra per onorare San Francesco: dipinti, sculture e preziosi paramenti sacri che testimoniano l’alta qualità della produzione artistica della zona. Tra le più notevoli sono da segnalare la preziosa Croce di posta del XIV secolo, le tele di Vincenzo Manenti e Alessandro Turchi detto l’Orbetto (dalla chiesa di Santa Maria della misericordia di Accumuli) del XVII secolo e il dipinto recentemente restituito al caravaggesco Bartolomeo Manfredi, proveniente da Leonessa. Nella terza sede, gli spazi espositivi che la Fondazione Varrone ha predisposto presso il Complesso San Giorgio, sono raccolti i documenti più importanti riferiti a San Francesco e al francescanesimo nel territorio reatino dal Duecento ai giorni nostri.
 
Ennio Tamburi
Roma, Galleria nazionale d’Arte Moderna
fino al 12 settembre
 
La Galleria nazionale d’Arte Moderna di Roma espone per la prima volta una selezione di opere di Ennio Tamburi, che attualmente vive e lavora fra Roma e Zurigo. I lavori presentati, prevalentemente eseguiti dal 2006 a oggi, sono realizzati su carta, spesso preziosa e morbida come fosse un tessuto. Le carte, che Tamburi sceglie con attenzione certosina, sono caratterizzate da un naturale cromatismo che l’artista non occulta ma anzi volutamente valorizza. Non sempre però. In alcuni casi la carta viene ridipinta, in altri lasciata integralmente “al naturale” in modo che il supporto riveli la sua trama sottile e misteriosa, la sua corposità o leggerezza, creando un contrappunto con le immagini, costruite attraverso la giustapposizione di punti di diverse dimensioni, ossessivamente allineati ed equidistanti oppure casualmente distribuiti sulla superficie. Ricoprono porzioni grandi o piccole del piano, disponendosi come i pezzi di un’immaginaria scacchiera o come rappresentazioni cifrate racchiuse in geometrie rigorosamente disegnate, come nel caso dei Recinti.
 
Una delle opere, di formato più grande rispetto alle altre, è montata su una pedana appena sollevata da terra, uno dei modi più efficaci per leggere le opere di questo straordinario, sensibile e versatile interprete. Il rigore progettuale, a un tempo sofferto e contrastato dall’artista, che nei lavori più recenti ha improntato la sua ricerca a una maggiore libertà espressiva, viene violato in più modi mettendo in discussione la matrice originaria di quella medesima elaborazione formale. Osservatore in molti casi critico di fronte alle mode, tendenze e ambivalenze delle poetiche contemporanee, concepisce il suo fare come una pratica antica, quasi artigianale, seguendo una direttrice che senza annullare le sollecitazioni che provengono dalla cultura contemporanea, anzi annotandole, a seconda dei casi, in una severa ovvero giocosa “scrittura”. Con spirito vigile e appassionato intesse il suo dialogo col mondo e con l’arte di oggi senza assecondarne o peggio incoraggiarne le derive.
 
Antonio Joli tra Napoli, Roma e Madrid. Le vedute, le rovine, i capricci, le scenografie teatrali
Caserta, Reggia
fino al 14 ottobre
 
Il progetto espositivo ricostruisce attraverso trentanove opere il periodo della maturità del pittore modenese, quello della sua attività madrilena (1749-1754) e in seguito, più approfonditamente, quello dal 1759 fino al 1777 presso la corte borbonica napoletana. Il percorso allestito nella sala delle Guardie del corpo e retrostanze, si articola in quattro sezioni: le vedute spagnole, di Napoli e dintorni, di Roma, e le scenografie. La prima è costituita da tre vedute madrilene e da una di Aranjuez con la flotta del Tajo, illustrata minuziosamente nel manoscritto autografo del Farinelli conservato presso la Biblioteca nazionale di Madrid. La seconda comprende opere conservate presso la Reggia vanvitelliana e il Museo di San Martino.
 
Tra queste spiccano il dipinto raffigurante L’inaugurazione della cascata del parco, evento organizzato in occasione delle nozze di Ferdinando IV con la regina Maria Carolina nel maggio del 1768 e la tela con Interno del tempio di Poseidone a Paestum, realizzata nel 1759. Tra le vedute di Roma, i dipinti conservati presso la Reggia, confrontate con le opere di Michele Marieschi (1710- 1743) provenienti dal Museo Filangieri di Napoli, e di Bernardo Bellotto (1722-1780) dal Museo civico di Asolo. Tra i dipinti casertani spicca una splendida Veduta del Tevere con Castel Sant’Angelo e San Pietro e una Veduta di piazza del Popolo di cui Joli realizzò diverse versioni.
 
Quella delle scenografie è la sezione più innovativa, costituita da dipinti conservati a Caserta, uno dei quali può sicuramente riconnettersi alla scenografia dell’Alessandro nelle Indie, opera già messa in scena al teatro San Giovanni Crisostomo di Venezia durante il Carnevale del 1738 e riproposta nello spettacolo del 29 maggio 1768 presso il San Carlo di Napoli.
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