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#Cossiga Il suo dolore per la morte della Politica

C´era già tutto, in effetti. Nella testa di Francesco Cossiga c´era già tutto ciò che che poi seguì, per cui non fu difficile per me trasferire quella idee su carta dando così vita al suo ultimo libro-intervista, Fotti il potere, gli arcana della politica e dell´umana natura, pubblicato nel 2010 ma terminato grossomodo un anno prima.
 
C´era l´urlo di dolore dell´uomo di Stato sconcertato nel vedere i politici muoversi e la Politica (con la P maiuscola, come piaceva a lui) ridotta a valletta di una finanza corsara ed irresponsabile. C´era il senso di un´Europa insensata, antidemocratica e ragionieristica, destinata a crisi certa poiché tutto in lei brillava tranne la fiamma della Politica. C´era l´inerzia che portò intere classi dirigenti ad aderire a grandi progetti (la moneta unica) spinte da piccoli calcoli. C´era la constatazione che, nonostante tutto, gli Stati esistevano ancora e quelli di più antica tradizione non avrebbero accettato passivamente di farsi smontare pezzo pezzo in ragione dell´interesse di pochi ammantato dal diritto di tutti. C´era lo sconfinato amore per la Politica, che “è un´arte”, e di cui può essere al massimo l´ancella: mai il vicario o il rimpiazzo.
 
C´era, nelle ultime parole destinate al pubblico di Francesco Cossiga, l´ammirazione per lo Stato francese e l´efficacia con cui da sempre impugna le leve degli Arcana Imperii scatenando i propri servizi segreti (e non c´era stato ancora il in Libia; e chissà se Strauss-Kahn non avesse fatto la fine che ha fatto come sarebbe cambiata la storia del mondo nel fuoco di questa crisi infinita…). C´era tutta la debolezza dell´amministrazione Obama e il reciproco vantaggio dello storico ed indissolubile legame parentale tra Stati Uniti e Regno Unito. C´era, già vista, la cabina di regia del Quirinale, la cui forza è sempre inversamente proporzionale a quella dei partiti. C´era la nostalgia per partiti, che erano in cui si formava un´élite oggi improvvisata in politica come ovunque. C´erano i segni rivelatori di una Chiesa in crisi di senso e di consenso, ridotta in bande inesorabilmente più forti del suo pur stimatissimo monarca assoluto. C´era la fine del berlusconismo non per via giudiziaria ma politica, perché la politica è altro dalla morale ma qualche idea ferma la richiede e quando galleggia senza fare è destinata a morte certa.
 
C´era la consapevolezza di una Storia governata dal caso e dai sentimenti, dove la Ragione, come l´intendenza, al massimo segue. C´era, in chiave realista – perché realista come Machiavelli era Cossiga, è perciò come Machiavelli dagli stolti fu ritenuto – la spiegazione dell´inesorabile groviglio tra Politica, affari, denaro, diritto e magistratura. C´era la minuziosa analisi delle dinamiche che portarono alla crisi della Prima repubblica e alla sua spoliazione patrimoniale, e c´era il senso di una Seconda repubblica destinata ad incamminarsi lungo il viale del tramonto della Prima. Tappa dopo tappa, nemesi dopo nemesi…
 
C´era tutto, tutto quel che sarebbe poi accaduto, nella testa di Francesco Cossiga. E non perché il Presidente fosse un mago, ma semplicemente perché la Politica risponde a regole eterne e lui quelle regole le “sentiva”, le conosceva e le aveva viste operare ai massimi livelli. Perciò, usando una frase fatta, dunque quanto di più lontano dall´anticonformismo dell´Uomo, è senz´altro il caso di dire che la morte di Francesco Cossiga ha lasciato. E infatti non colmato da alcuno, con gran nocumento di tutti. Perché quando, come oggi, il gioco del potere più si fa duro, ci sarebbe come non mai bisogno della titanica follia d´un uomo capace di “svelarlo”.
 
C´era tanto dolore, anche, nella testa di Francesco Cossiga. Perché la Politica era in effetti già morta e con essa era morto anche lui. E la sua ironia impastata di sarcasmo era quella del parente stretto al funerale del caro congiunto: un ridere nervoso per non piangere troppo.
 
Andrea Cangini


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