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Grecia, quando il problema si chiama politica

Mentre la Federazione degli insegnanti delle scuole greche lamenta il rischio che, per mancanza di fondi statali a causa della crisi, il prossimo inverno molte scuole non saranno in grado assicurare il riscaldamento, e mentre l’iva al 23% ha di fatto svuotato il carrello della spesa dei cittadini greci, sempre più inclini al consumo di carboidrati al posto di pesce e carne (più costosi), la casta ellenica spende quasi quattro milioni di euro per il canale televisivo della Camera dei Deputati.
 
Un’altra delle macro contraddizioni di questo biennio di crisi che, se da un lato ha messo in allarme il continente intero sulla tenuta della moneta unica e sul rischio contagio per gli altri paesi Pigs, dall’altro non accenna a smussare pratiche clientelari e deleterie per conti pubblici disastrati. Nel centro di Atene, a pochi passi dalla Voulì, tre studi televisivi con le più moderne tecnologie targate Avid, ospitano la tv del parlamento, che nel solo 2011 è costata quasi quattro milioni di euro. Tra attrezzature all’avanguardia (25 telecamere), 85 dipendenti (di cui 12 giornalisti) e persino un parcheggio riservato in una zona solitamente off limits per le auto. Un vero e proprio lusso ingiustificato in anni difficilissimi, in cui i cittadini sono chiamati a un vero e proprio stravolgimento delle personali abitudini di vita per impedire la bancarotta ormai a un passo: con il numero dei senzatetto raddoppiati ad Atene, con il record dei bimbi sottopeso nei paesi Ocse, con ospedali senza lenzuola e senza pasti agli ammalati.
 
Un panorama che certamente va ad affiancare una cura, quella della troika, che non sta ancora producendo gli effetti desiderati, ma che offre il polso di come la casta di un paese in bolletta a sua volta non sembra proprio curarsi di quella crisi, proseguendo con sprechi imbarazzanti.
Un sistema di sperperi diffusi che sono direttamente proporzionali anche a una certa miopia industriale, come dimostrano due macro esempi infrastrutturali: il ponte di Rio-Antirrio che collega dal 2004 il Peloponneso al continente e il mega aeroporto internazionale ateniese Elefteros Venizelos.
 
Il ponte costruito in occasione delle Olimpiadi rientra in una di quelle eccezionali opere pubbliche che rimangono giustamente nella storia di un paese, ma in Grecia la peculiarità non è stata solo la lievitazione dei costi iniziali rispetto a quelli definitivi (come i giochi olimpici per cui si è speso tre volte il preventivato), bensì le modalità attuative. Quanto che a realizzarlo, in modo impeccabile e con le ultime tecnologie di grido, siano state aziende straniere con tecnici e ingegneri stranieri, e solo con una piccola percentuale di manodopera ellenica. Con il risultato attuale che del pedaggio pagato da ogni automobilista per attraversare quei quattro chilometri e rotti sul golfo di Patrasso (13 euro), ben l’80% va nelle tasche di quelle imprese straniere e solo il 20% allo stato greco. Che potrà certamente godere dei frutti turistici e commerciali di quell’imponente opera, ma che ha rinunciato, in anni in cui la disoccupazione ha fatto segnare record su record, a realizzarla in prima persona con tutto l’indotto occupazionale “interno” che avrebbe comportato. E atteggiandosi come un qualsiasi altro paese del terzo mondo che, non disponendo di tecnologie e background per realizzare infrastrutture, “invitato” le grandi aziende straniere in loco in cambio di materie prime.
 
Altro esempio simile è l’hub internazionale ateniese “Elefteros Venizelos”, modernissima struttura sorta a Markopoulo, a cinquanta minuti di auto dalla capitale ellenica. Costruito dai tedeschi e dato anch’esso a loro in gestione per quattro lustri. Lecito chiedersi: cosa pensare di una classe politica, di tutti i colori, che avalla simili non-affari per il proprio paese, svalutando le professionalità interne, rinunciando a creare occupazione e di fatto non stimolando il mercato interno?
 
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