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Prove tecniche di ecologia digitale

Facebook e Cnn hanno siglato una collaborazione per seguire in diretta-sociale le prossime elezioni americane. Obama, per la sua prima campagna, aveva dimostrato che i social media possono dare accesso diretto a milioni di elettori e che questo poteva valere la presidenza. Erano solo quattro anni fa, tempi che per tecnologie emergenti come social media e big data sono però enormi. Ora attraverso Facebook e Twitter i media e gli staff dei candidati americani avranno accesso diretto al 70% dell’elettorato, molti di più di quelli che voteranno, in tempo reale. Potranno seguire minuto per minuto la percezione degli elettori, la distribuzione geografica delle preferenze, le micro tendenze e le loro implicazioni a livello nazionale.
 
Molte di queste transizioni sono dense d’incognite, pratiche ed etiche, soprattutto ora che influenzano nodi-chiave della nostra convivenza, le decisioni e le persone che contano. Eppure sono inevitabilmente irreversibili. L’aspetto più importante, e meno evidente, dell’impatto sulla campagna elettorale sarà un bilanciamento diverso tra retorica e analisi, tra feeling con gli elettori e misura del mood, tra percezione e previsione. La capacità di gestire quantità enormi di dati personali in tempo reale – pubblici per scelta degli individui – e di usarli per capire e influenzare individui o comunità apre la strada a criteri di comunicazione e management radicalmente nuovi. Sono tutti da verificare, ma sono sicuramente dirompenti, anche fosse solo nel modo di gestire una campagna e i suoi risultati.
 
Quelli come me che si occupano di questi temi, professionalmente e come accademici, si chiamano talvolta professionisti del cambiamento digitale. Vediamo attorno a noi molti settori in rapidissima accelerazione, ma anche grandi differenze geografiche tra città e nazioni dove la trasformazione prende forma e dove invece stenta a partire. L’interesse e la necessità di capire queste differenze sono più grandi che mai e si manifestano dalla sanità al governo locale, dai trasporti al turismo. Nelle città però si sta giocando forse la partita più interessante. Esse hanno assunto un ruolo trainante nelle innovazioni, nella ricerca e nell’aggregazione del talento. Si sperimentano modelli di energia alternativa e reti più razionali, catene del cibo più controllate, servizi sanitari più accessibili, trasporti potenzialmente più sostenibili. Se diventassero più smart, allora il vantaggio complessivo per tutti sarebbe più che proporzionale.
 
Eppure molte aree urbane sono ancora gestite con dati frammentati e visibilità incompleta sui processi fondamentali dell’uso delle risorse, flussi di merci e persone. Pensate al turismo: genera il 10% del Pil e in certe città molto di più. Quanti turisti ci sono in città adesso? Da dove arrivano? Quanto rimarranno? Dove andranno dopo? Come si muoveranno? Torneranno ancora? Visiteranno solo il centro o anche le zone limitrofe? Rispondono alle nostre politiche e incentivi oppure no? Sembra logico assumere che uno dei pilastri della nostra ricchezza sia misurato con sufficiente dettaglio per poterlo gestire con efficacia. Eppure la risposta a queste domande è parziale, in ritardo o mancante del tutto.
 
Di fatto questa è una situazione esistente più per scelta o per mancanza di conoscenza, non per mancanza di opportunità o di strumenti. Costantemente, ogni volta che usiamo un cellulare, una connessione a Internet, strisciamo una carta di credito o usiamo un trasporto pubblico lasciamo tracce del nostro passaggio e del nostro uso della città. Mentre su Foursquare, Facebook o Twitter scegliamo deliberatamente di divulgare dati e opinioni, molti altri servizi hanno semplicemente bisogno di catturare informazioni su di noi per fornirci servizi essenziali che compongono il nostro moderno vivere. Deliberatamente o meno, ci lasciamo alle spalle ogni giorno centinaia di tracce di noi e del nostro comportamento. E non è un fenomeno in calo, tutt’altro. Si stima che nel 2010 ci fossero circa 2 miliardi di utenti connessi a Internet. Si stima anche che ci saranno circa 50 miliardi di connessioni a Internet entro il 2020. Ovviamente non potranno essere persone.
 
Saranno oggetti – veicoli, edifici, strade, sensori per il corpo – che avranno una personalità digitale oltre che una fisica. Tutto questo genererà dati su come usiamo il nostro ambiente, su una scala che non possiamo nemmeno ancora concepire nella sua interezza. Prese singolarmente queste informazioni devono fare i conti con il diritto delle persone di proteggere i loro dati e la loro riservatezza. Prese collettivamente, aggregate e spogliate di ogni elemento personale, dichiarano il nostro comportamento collettivo. Collective sensing è la disciplina che si occupa di analizzare a livello aggregato e anonimo le nostre tracce digitali per comprendere il nostro comportamento collettivo. Con risultati importanti. Monitorando le ricerche su Google di termini quali “sintomi influenzali”, ad esempio, è possibile anticipare di circa due settimane i picchi locali di ricoveri per influenza, con ovvie implicazioni per la pianificazione delle strutture. Alcuni servizi on-line suggeriscono di attendere o meno prima di acquistare un bene, sulla base della probabilità di pagare di meno tra poco. Gli enti del turismo possono accedere a stime sulla provenienza e destinazione dei turisti, quali siti visitano e quali trascurano. Senza questa evidenza è difficile stabilire se e quali investimenti in promozione, valorizzazione e tutela del patrimonio storico hanno impatto.
 
Centinaia di domande come queste spiegano l’interesse per l’analisi aggregata dei dati generati delle telecomunicazioni, social network, veicoli o edifici. La tecnologia è ancora in via di sviluppo, i modelli di business devono essere elaborati, gli utenti devono prendere coscienza del potenziale. Tuttavia, è ormai evidente che Collective sensing risponde a domande fondamentali in un modo che nessun altro metodo può fare, e può spiegare fenomeni collettivi in modi impensabili fino a poco tempo fa. È solo una questione di tempo perché questo diventi parte del nostro vocabolario quotidiano. Forse basta aspettare le prossime elezioni americane.
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