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Sognando la Silicon Valley

La tecnologia dell’informazione permette agli amministratori pubblici di ripensare i loro spazi urbani per prepararli al futuro, ma ci sono alcune sfide ancora da superare prima di poter vivere una realtà urbana intelligente e sostenibile.
Nell’ultimo anno il termine “città intelligenti” è stato collegato dalla stampa a nuove città in costruzione, soprattutto in Asia e nel Medio Oriente, con rete a banda larga posizionata come elemento centrale. Questa rete non solo permette una più trasparente ed efficiente gestione delle risorse, ma consente anche di ripensare la relazione tra cittadini e città. Dal punto di vista infrastrutturale, tutti gli elementi dell’ambiente urbano (strade, edifici, reti energetiche) vengono gradualmente collegate alla rete e iniziano a integrarsi senza soluzione di continuità.
 
Tutto ciò permette di cambiare letteralmente le città in cui viviamo, trasformando aree cittadine degradate in quartieri ad alta vivibilità sociale e vitalità economica: dal Waterfront di Toronto, al quartiere di innovazione 22@ a Barcellona. Esempi di trasformazione urbana mettono al centro del processo di pianificazione strategico-architetturale la banda larga, ma l’Italia ha una lunga storia di rigenerazione di successo nel suo ambiente urbano: Torino si è trasformata nel corso degli ultimi 15 anni ed è diventata un hub di innovazione e nuove tecnologie; Genova si sta reinventando come una città intelligente e connessa; Milano ha iniziato lo straordinario viaggio verso Expo 2015 che cambierà il suo volto.
Gli urbanisti di tutto il mondo sono ormai d’accordo: l’infrastruttura It è elemento centrale e abilitatore di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Tuttavia, mentre grossi passi avanti sono stati fatti nel campo architetturale e della pianificazione, l’azione si è rilevata frammentata, senza strategie e azioni comuni tra attori del settore pubblico e privato. Questo approccio frammentato sta mettendo in pericolo il successo della rigenerazione urbana. I governi oggi non hanno la forza finanziaria per implementare infrastrutture tecnologiche da soli.
 
Le realtà di successo sopra citate dimostrano quanto sia necessario un forte approccio di partenariato tra tutti gli attori impegnati nel rinnovamento di una città, in modo da formare una strategia coerente e un piano d’azione. Expo sta diventando rapidamente un laboratorio fantastico per i partenariati pubblico-privati: piccole e grandi imprese che collaborano con il governo attraverso un “veicolo speciale” – la società Expo – incubando innovazioni tecnologiche e sociali di calibro mondiale, basandosi su modelli innovativi di partnership e co-creazione.
Ma come può tutto questo creare benessere, sviluppo economico e innovazione sociale? In tutto il mondo, centinaia di città stanno mettendo a punto strategie di innovazione e sviluppo, prendendo come riferimento la Silicon Valley diventata sinonimo di innovazione e creatività grazie ai giovani talenti, e paradiso delle start-up.
 
Ogni città, ogni Paese sogna di avere la sua Silicon Valley. Ma come attirare i giovani talenti e soprattutto le grandi multinazionali? La risposta spesso è una combinazione di incentivi fiscali e di piani urbanistici super-moderni e architetturalmente sofisticati. La smart city come una città architetturalmente futuristica ed iper-tecnologica.
Ci si dimentica però di due cose: la Silicon Valley non è nata perché una multinazionale si è trasferita tra le colline della California. È nata perché questo polo di innovazione conteneva una serie di elementi: università di eccellenza che sfornavano studenti preparati, grandi progetti di ricerca – finanziati dal settore pubblico almeno nella prima fase –; un ambiente naturale e urbano accogliente che facilitava lo scambio di idee e collaborazione; l’esistenza di una società aperta improntata all’innovazione attraverso la diversità; la disponibilità di una infrastruttura digitale – oggi diventata una serie di servizi a banda larga e It – che ha offerto una rete dorsale stabile per il lavoro, e così via.
 
Tutti ingredienti che, se disponibili nella giusta quantità e spesso facendo leva su una buona dose di serendipity, hanno consentito la nascita di idee e organizzazioni innovative che crescono e diventano protagoniste nei mercati globali. Ricreare questo effetto è un’arte complessa: il successo non dipende né da un approccio top-down da parte dei governi, e nemmeno da una strategia interamente gestita da imprese private, ma dall’attento bilanciamento di tutti gli ingredienti sopra menzionati. Con una importante novità: con l’aiuto di connettività a banda larga e grazie al cloud computing, i processi di ideazione, progettazione e produzione di prodotti e servizi innovativi possono essere virtualizzati sulla rete. Lo sviluppo economico e la creazione del benessere viaggiano in rete, come accade oggi in città veramente smart come Amsterdam o Barcellona. Certamente, la gente avrà ancora bisogno di incontrarsi faccia a faccia, ma molti processi nella creazione di prodotti e servizi innovativi vengono gestiti in rete, e sempre più spesso da parte della rete.
 
Anche qui abbiamo qualcosa da insegnare, ma anche da migliorare: nei miei incontri in tutto il mondo, l’Italia viene sempre indicata come il Paese in cui i distretti industriali hanno prosperato negli ultimi due secoli. Ma anche come il Paese della banda non molto larga.
Abbiamo il Dna, la cultura, il capitale e le strutture sociali per innovare e creare rapidamente le nuove strutture economiche e sociali dell’era digitale e rivendicare un ruolo più centrale nello sviluppo globale delle smart city. Abbiamo bisogno però di concentrarci sia sulla creazione di infrastrutture solide ed efficienti, sia sulla combinazione degli ingredienti sopra citati. Ciò che occorre è una maggiore attivazione da parte del governo, a livello locale e nazionale, per stimolare la ricerca e l’innovazione, basato sulla consapevolezza del ruolo che possono giocare le imprese piccole e medie del nostro Paese.
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